Il “Decameron” di Boccaccio: contenuti e valori
Con il Decamerone, che in greco significa “dieci giornate”, Giovanni Boccaccio vuole ritrarre uno spaccato di vita quotidiana all’interno di una compagnia di dieci giovani membri dell’alta borghesia fiorentina, i quali si ritrovano, per scappare da Firenze, durante la quarantena causata dalla peste bubbonica del 1348.
I dieci (tre ragazzi e sette ragazze) si danno appuntamento nella chiesa di Santa Maria Novella e poi lasciano Firenze, dove il morbo infuria, per rifugiarsi in campagna. Ognuno di essi racconterà, all’interno dell’opera, una novella al giorno, così che, alla fine dell’opera, siano stati raccontati 100 racconti diversi.
La raccolta di novelle ebbe un enorme successo, non solo in Italia, ma anche in Inghilterra, dove il poeta e scrittore Geoffrey Chaucer scrisse, in omaggio al capolavoro di Boccaccio, la raccolta dei Canterbury Tales (i racconti di Canterbury, ambientati all’interno di una comitiva che sta compiendo un viaggio religioso per raggiungere la tomba del santo Thomas Beckett, a Canterbury). Altro grande novelliere italiano, che prese spunto dal Decamerone, fu Franco Sacchetti (scrittore nato a Dubrovnik, in Croazia, da padre fiorentino che scrisse, a fine Trecento, le Trecentonovelle).
La struttura del Decamerone prevede tre sezioni: un Prologo, dedicato al piacere dell’amore e dedicato alle donne che amano. Boccaccio spera che esse possano trarre piacere dalla lettura (come dall’amore) e soprattutto insegnamenti dalle sue novelle, in modo tale che le storie che hanno coinvolto altre persone, in bene o in male, servano loro da ammaestramento per il futuro.
La seconda parte del Decamerone parla della peste e delle sue conseguenze su Firenze. Inviata dalle stelle o da Dio per punire i peccati degli uomini, la peste, partita da Caffa (sul Mar Nero), aveva fatto migliaia di vittime nel bacino del Mediterraneo. I fiorentini avevano pulito come potevano le strade e dato consigli di quarantena. Nemmeno le preghiere ardenti del popolo servivano però a far smettere gli effetti del morbo. La peste o faceva colare sangue dal naso (e ciò voleva dire morte certa in pochi giorni) o faceva gonfiare i linfonodi delle ascelle; da lì in avanti, altri linfonodi di color scuro spuntavano ovunque e il malcapitato non poteva che morire in poco tempo. Le possibilità di trasmissione della malattia erano moltissime: bastava parlare con un malato o addirittura toccare qualche suo abito per contrarre la peste. Per questo le persone stavano tra di loro, in numero molto ridotto, cercando di trovare un po’ di piacere o bevendo vino o mangiando o raccontando belle storie, rifiutandosi di parlare di quello che succedeva fuori. Altre persone invece facevano bagordi, feste e banchetti: pensavano che quella fosse l’univa medicina, per dimenticare il dolore e vivere felici gli ultimi giorni delle loro esistenze. Tutti morivano con tale facilità che nessuno vigilava più sulle regole cittadine e ciascuno faceva quello che voleva, ampliando il contagio in Firenze. Il male, la peste, simboleggiano non l’inferno di Dante o la perdizione di Petrarca, ma una delle condizioni in cui può vivere un essere umano su questa terra. Quello di Boccaccio è dunque un testo molto laico, svicolato dalla teologia, che tanto aveva condizionato le visioni del mondo dei suoi due predecessori.
Nella terza parte del Decameron, Boccaccio inserisce le cento novelle raccontate dai giovani. Essi, trovato riparo in campagna, si mettono al sicuro dal contagio e cercano di far passare con gioia moderata il tempo, raccontandosi novelle di vario genere, quasi tutte incentrate su prese in giro del clero (ritenuto assolutamente inattendibile e ipocrita), sull’esaltazione dell’intelligenza, utile per evitare i colpi del destino. I personaggi che più si vedono in questi racconti sono quelli del mercante (sveglio, capace, avido di guadagno, spregiudicato), il frate (immorale, sciocco o inattendibile), la donna (capace di sedurre ma anche di usare l’intelligenza e salvare dalla rovina l‘uomo che ama). Boccaccio è dunque capace, con un linguaggio doppiamente volgare (italiano corrente e italiano basso) di dare forma ai valori di una nuova società, quella che nascerà della tragedia della peste: la società dei borghesi.
I temi trattati nelle dieci giornate sono a volte liberi, a volte dedicati a temi specifici: il ruolo della fortuna, del caso nelle vite umane, la capacità intellettive (come quelle di Andreuccio da Perugia, prima derubato a Napoli e poi in grado di rifarsi), gli amori felici e infelici, le battute di spirito (come quelle di Chichibìo, che gli evitano una brutta punizione da parte del signore per cui lavora, Currado Gianfigliazzi), le beffe (come quella che subisce lo stolto Calandrino da Maso e dagli amici Bruno e Buffalmacco) e gli atti di generosità.
Grazie Paolo per i contenuti. Ho indirizzato i miei allievi anche su queste pagine, soprattutto per Boccaccio e le sintesi dei sonetti di Petrarca. In questo periodo valgono molto. Per l’anno che verrà cercherò di trovare il tempo e quindi pubblicare alcuni contenuti sintetizzati dai libri e da altre fonti utili per i ragazzi.