Umberto Saba (1883-1957): un profilo

Umberto Saba, nasce a Trieste, come Svevo è ebreo per parte di madre; il padre si chiama Ugo Poli, è cattolico e lascerà la madre prima del parto; ciò causerà una grave crisi interiore nel piccolo
Umberto. La madre, Rachele Coen, che non lo riconosce subito, lo affida ad una balia per
i suoi primi tre anni.

Crescendo, Saba matura una visione della vita piuttosto complessa: non è praticante, è
ateo; crede profondamente nella psicanalisi; crede nella Natura (soprattutto nelle manifestazioni più dirette: le donne e gli animali); crede nella chiarezza e nel lessico semplice, nell’onestà di chi scrive (ciò emerge in modo particolare dall’opera che Saba scrisse per spiegare i temi affrontati nel suo Canzoniere, ovvero la Storia e cronistoria del
Canzoniere
). Il poeta triestino non crede invece nel lessico aulico dei dannunziani, troppo
distante dalla realtà.

Queste posizioni poetiche maturano a seguito di una serie di eventi biografici che portano
Saba a lasciare per qualche tempo l’adorata Trieste. Mentre si trova a Pisa, nel 1903, per studiare alla locale università, ha il suo primo attacco di panico, di ansia: problema che lo precipiterà in una profonda depressione, per tutta la vita.

Nel 1905 è a Firenze, dove conosce gli autori della rivista La voce, i quali si basano sulla coscienza, sulle piccole cose, sui concetti astratti. Nel 1906 sposa Carolina (Lina) a Trieste e poi fa il militare. In seguito, tra il 1912 e il 1915, vive tra Bologna e Milano (a seguito di una crisi del suo matrimonio). Prima dello scoppio della Prima guerra mondiale,
da buon irredentista (colui che vuole le terre di lingua e tradizione italiana riconsegnate
all’Italia), è interventista. Poi si vergognerà di tal posizione.

Alla fine della Prima guerra mondiale, dal 1919, tornerà a Trieste, dove abiterà stabilmente, mantenendosi gestendo una bottega di libri antiquari in pieno centro storico. Come Svevo, dal 1923, inizia a scrivere e a diventare amico del poeta Eugenio Montale. Dopo le leggi razziali del 1938,
ebreo per parte di madre, si deve rifugiare a Parigi; in seguito, durante la Seconda guerra mondiale, scappa a Firenze e Roma, dove lavora come giornalista.

Il Canzoniere di Saba, esce per la prima volta nel 1921. Il titolo è un omaggio a Francesco Petrarca. Perché? Petrarca, come Saba, è un autore molto introverso, molto chiuso, molto sofferente per la perdita di Laura.

Di che cosa parla il Canzoniere di Saba? Di temi comuni, della città di Trieste, del popolo,
delle ragazze, dei commercianti, dei portuali, di tutta l’umanità che la abita, nel bene e nel
male. Prima Saba conosce il mondo triestino, in seguito lo rielabora grazie alla sua indispensabile psicanalisi, poi si fa saggio, quando è vecchio, e distribuisce precetti alle persone che lo leggono.

Per questi motivi, a partire dalle seconda edizione del Canzoniere (1922-31), fanno il loro
ingresso, come oggetti di poesia, anche la psicanalisi e il senso di colpa, marchio di fabbrica di Saba, per essere così sospeso a metà (un po’ come era Zeno Cosini de La coscienza di Zeno).

Saba, in tutta la sua produzione, fa notare di essere diverso dagli altri: ha la missione di
soffrire il dolore degli altri, di vivere la vita degli altri. Deve farsi carico del destino delle altre persone: per questo suo essere poeta, nel profondo, egli deve vivere, sentire e soffrire in modo più profondo del resto del mondo.

Chi deve vivere o cambiare le vite degli altri?
1-Il Superuomo, secondo D’Annunzio, cambia il destino e la morale del mondo: questo perché lui ha il potere di riscrivere, con la parola, la vita di ciascuno e del mondo.
2-Il poeta umile e onesto, secondo Saba. Ciò perché il poeta è chi si fa carico della sofferenza altrui: il suo destino è stare male, sacrificarsi per gli altri in quanto artista.


Per questo deve trovare uno sfogo alla sua infelicità: nella psicanalisi, scienza nella quale,
a differenza dell’altro triestino Svevo, Saba crede moltissimo e che gli serve anche a sentire la necessità, attorno ai 20 anni, di conoscere quel padre che lo aveva abbandonato prima che nascesse, nel ventre materno.

Il padre, come ricorda nella poesia di p. 713 a lui dedicata, è come un bambino: rende
piccole le cose grandi (…Pascoli?) e perciò ha lasciato la madre prima che lui nascesse.
Anche se il padre è stato un assassino per Saba (così lo sentiva chiamare dalla madre
abbandonata, che si caricava di tutto il peso della vita), con quest’uomo-bambino Saba
condivide lo sguardo azzurrino (il colore degli occhi); da lui ha avuto il dono della poesia. Il
fatto che il padre fosse scappato di casa, gli ha impedito di far nascere un complesso di
Edipo: il padre è il vero bambino, che scappa di fronte alla responsabilità; Saba, appena
nato, è già adulto, non ha qualcuno (come invece era capitato a Zeno) a cui contrapporsi.


Potrebbe essere una ferita tremenda, invece Saba, come un bambino adottato, da adulto lo vuole incontrare. Per capire che i ruoli della vita si sono invertiti, anche se all’apparenza la colpa dell’abbandono derivava dal diverso credo religioso dei due genitori di Saba (madre=ebrea; padre=cristiano).

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