Storia della mafia in Italia (1860-1994). Parte 5: gli anni Settanta e Ottanta

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Negli anni ’70 di consumò poi la prima grande lotta di mafia per ottenere il controllo sulla “Cupola”. A Palermo si fondò un comitato d’affari che coinvolgeva i nomi più altolocati della Democrazia Cristiana siciliana (Vito Ciancimino, Salvo Lima, i cugini Nino e Ignazio Salvo), che permise il cosiddetto “sacco” della città: in quel decennio venne infatti sventrato il centro storico, abbattute ville d’epoca per costruire, con un enorme profitto criminale, enormi palazzoni anonimi. Era lo scontro tra la mafia più violenta, quella di Luciano Liggio, del giovane Totò Riina, di Bernardo Provenzano), e la mafia cittadina, che controllava gli appalti (la famiglia La Barbera). Molti omicidi vennero commissionati già a partire dalla metà degli anni Sessanta, alcuni dei quali costarono la vita anche a membri delle forze dell’ordine (come  i sette carabinieri uccisi da un’autobomba a Ciaculli, nel 1963, mentre ispezionavano un’Alfa Romeo Giulietta sospetta).

La reazione dello Stato fu piuttosto disorganizzata. Dopo un rastrellamento di circa 250 persone nell’agosto 1963, tutte in odor di mafia, i processi intentati contro i loro capi o non venivano celebrati perché essi erano ancora liberi o, se celebrati, mandavano assolti i loro imputati. Non erano anni facili per gli inquirenti. Chi sapeva stava zitto, chi parlava invece spariva. E’ il caso del giornalista Mauro De Mauro, fatto sparire nel 1970 perché troppo curioso sul caso dell’omicidio Mattei. Nel 1972 Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti e Totò Riina divennero i tre capi più importanti della mafia siciliana. La guerra di mafia finì e si vide l’affermazione del gruppo dei Corleonesi, ovvero della famiglia di Riina (Totò Riina e il cognato Leoluca Bagarella, killer spietato in numerosissime occasioni). I principali affari, negli anni ’70, riguardarono lo smercio di droga con l’America: operazione che rese l’aeroporto di Palermo centro del traffico internazionale di stupefacenti e che forse costò la vita, nel 1971, al procuratore capo palermitano Pietro Scaglione. L’idea politica, condivisa dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista (all’epoca guidato da Bettino Craxi), era quella di non fare troppe radiografie ai beni degli imprenditori che producevano ricchezza, lasciando stare le verifiche sull’origine dei loro patrimoni. Questa sorta di pace armata costò la vita a numerosi appartenenti alle forze dell’ordine che, da soli, si erano avvicinati troppo a scoprire questo legame inconfessabile tra membri dello Stato e mafiosi: il tenente dei carabinieri Giuseppe Russo, ucciso nel 1977, Peppino Impastato, che aveva denunciato e preso in giro per radio le interferenze mafiose nella vita civile (ucciso nel 1978), il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano (ucciso con una serie di colpi alle spalle da Leoluca Bagarella nel 1979), il giudice Cesare Terranova (che aveva rinviato a giudizio Luciano Liggio), il presidente della Regione Sicilia, il democristiano Piersanti Mattarella (che aveva iniziato a controllare i regolamenti con cui venivano attribuiti alle ditte private gli appalti pubblici), ucciso nel 1980; il deputato comunista Pio La Torre, che aveva promosso una legge che colpisse l’associazione a delinquere di stampo mafioso, eliminato con il suo autista nel 1982. La Cupola ebbe, ad inizio anni ’80, l’impressione di essere stata tradita dai politici democristiani che aveva contribuito a portare al governo a Roma: per questo iniziò a sparare anche ai membri dei partiti che se l’erano dimenticata. Nei primi anni ’80, l’uccisione di Stefano Bontade da parte di Riina, cambiò gli equilibri e sconvolse Palermo con un’efferata battaglia di mafia, per bloccare la quale venne inviato a Palermo come Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dopo soli 100 giorni in quel ruolo, venne ucciso insieme alla moglie e ad un agente di scorta il 3 settembre 1982. Sembra che quest’omicidio sia molto legato alla morte dello statista democristiano Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, e su cui Dalla Chiesa aveva indagato. La successiva stagione della lotta alla mafia vincente, quella dei Corleonesi di Riina, passò attraverso l’intuizione metodologica di un magistrato molto competente: Rocco Chinnici. Fu lui a voler chiamare a Palermo come suoi sostituti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, istituendo una sorta di pool antimafia, composto da lui stesso, Roberto Ayala, Giacomo Conte, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, oltre che dai magistrati Falcone e Borsellino. Nel 1983 Chinnici venne fatto saltare in aria da un’autobomba di fronte a casa sua; stessa sorte sarebbe toccata a maggio 1992 e a luglio 1992, ai due giudici più impegnati nel riscontro delle ricchezze della mafia, Falcone e Borsellino appunto. Prima di morire, però i due riuscirono a far parlare pentiti di mafia eccellenti (come Tommaso Buscetta) e a istruire il primo processo di mafia in cui i responsabili di crimini non vennero prosciolti per assenza di prove, il Maxi processo del 1986.

Totò Riina, il “capo dei capi”, fu arrestato nel 1993, ma il suo gruppo criminale riuscì ancora ad organizzare la strage di via dei Georgofili a Firenze, nel maggio di quell’anno, come ritorsione, rivolta soprattutto alla politica, per l’arresto di un esponente così importante della malavita organizzata. Nel 1995 e nel 1996 verranno arrestati, smantellando così buona parte del gruppo direttivo della mafia di Corleone, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, colui che azionò il telecomando della bomba contro il giudice Falcone nel 1992.

Approfondimenti: alcuni film sulla mafia e qualche libro sull’argomento.

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