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L’invadenza del passato. Da Baudelaire e Rimbaud al gruppo musicale “The Doors”

Sovente, il passato non è una terra straniera, ma uno stimolo che continua a valere, in ogni presente in cui una persona viva..

Jim Morrison (1943-1971), cantante e poeta dedito ai “piaceri” più estremi (tra cui anche la droga), non poteva vivere senza essere “altrove”: altrove rispetto a quello che volevano i suoi fans, altrove a quello che il mercato della musica del decennio 1960-70 pretendeva da un ventisettenne come lui, altrove rispetto ai valori di chi non credeva in nulla che fosse davvero meritevole di essere considerato un valore.

Morrison, morto di overdose in un hotel di Parigi nel 1971, aveva bisogno di spalancare una porta sull’ignoto, sulla vera Natura che ci circonda e che noi non riusciamo a capire perché non ne leggiamo i simboli (non per nulla il suo gruppo musicale si chiamava “The doors“, le porte). Per trovare questi valori, leggeva. Molto. Soprattutto i poeti francesi dell’Ottocento che detestavano cordialmente tutte le convenzioni del secolo borghese in cui erano immersi (Baudelaire, Rimbaud, Verlaine: i poeti definiti maledetti)..

Quando stava per immergersi, l’ultima volta della sua vita, in una vasca di acqua calda, Morrison si era reso conto di non essere molto distante dal bellissimo uccello alato di cui parla Charles Baudelaire (1821-47) nella sua raccolta I fiori del male (1857). L’albatro è un uccello che segue dall’alto, in cielo, bastimenti pieni di uomini comuni, senza storia e senza passioni. Esso si ciba dei loro scarti (perciò non può vivere senza di loro) ma detesta le loro consuetudini. Per invidia, qualche marinaio (che simboleggia qualche borghese) lo abbatte. Precipitato sulla tolda della nave, l’albatro – prima solenne, splendido nel cielo, con la sua enorme apertura alare – diventa un uccello goffo, inetto a tutto, per le sue gambette che non lo tengono in equilibrio. I marinai/borghesi si divertono a stuzzicarlo e a prenderlo in giro, percuotendolo con la pipa o mettendosi a zoppicare come lui, per finta.

Anche lui, pensa Jim nella sua vasca, è simile a quest’uccello. E’ maestoso e imponente in cielo, ma, quando cade sulla terra, non può che muoversi in modo sgraziato e ridicolo in mezzo a chi lo deride, incapace di comprenderlo. Una brutta cosa, ne converrete. Soprattutto se doveste essere un artista attorniato da belle ragazze in delirio per voi. Ma per le quali il vostro cuore aveva smesso da tempo di battere.

Perché mi è successo tutto ciò, si chiede Jim? Perché lo spirito del Poeta si muove agilmente solo tra boschi, valli, nubi e mari, non sulla terra. Qui il vero Artista è costretto ad inspirare il puzzo della mediocrità borghese, i vani intenti, il desiderio di ricchezza e fama. Tutta roba che passa in un secondo.

“Fortunato colui che può con ala vigorosa slanciarsi verso campi sereni e luminosi”. Per questo, Jim aveva scritto la canzone Light my fire. Per questo aveva avuto un enorme successo. Ma non gli bastava.

In quel cupo febbraio parigino del 1971, il cielo della città gli pare un coperchio che spinge la sua testa verso il terreno. Lo fa sentire un verme, costretto a vivere al buio, in una cella umida, in cui la sua Speranza è imprigionata come un pipistrello. Più cerca di uscire, più si sente invischiato, tirato verso il pavimento.

Le reti dei ragni dell’alta borghesia delle major discografiche gli tolgono il respiro, con le loro idee di soldi, concerti e nuovi impegni. La testa gli esplode: “scattano campane furiosamente” (ricordate Spleen di Baudelaire?) e vede la sua tenue Speranza piangere. E’ sconfitto. L’Angoscia gli ha piantato nel cranio la sua bandiera nera.

Per questo si lascia morire, in un cocktail di alcool e droghe: inutile ogni soccorso. Se non avesse conosciuto le poesie di Baudelaire e di Rimbaud, sorde ad ogni convenzione sociale, che cercavano nella Natura vera tutto ciò che la Ragione non può darci, forse oggi sarebbe ancora qui, a ricordare la storia di un giovane cantautore di successo. Forse poco d’altro: e invece…

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