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Le forze della resistenza italiana e il CLN (1943-45)

L’armistizio dell’8 settembre 1943 gettò nello sconforto e nel panico tutti i reparti dell’esercito italiano. Le nuove regole d’ingaggio non erano state chiare sino a quel giorno, per cui molti soldati, per evitare di essere inviati in Germania nei campi di lavoro (dove avrebbero prodotto armi e munizioni per l’esercito tedesco), scapparono dalle caserme, indossarono abiti civili e si diedero alla macchia in collina o in montagna, ricostituendo una sorta di micro esercito di resistenza ai tedeschi. Questi nuclei di antifascisti militanti, autori di azioni militari di disturbo delle comunicazioni o piccoli attentati, si raccolsero sotto la definizione di Gruppi di Azione Patriottica (i GAP). Le loro azioni furono per forza limitate sia dai pochi mezzi e dalle poche armi a disposizione sia dal timore di violente rappresaglie dei tedeschi contro la popolazione civile (a Roma, nel 1944, una bomba partigiana fece saltare in aria 32 tedeschi; la risposta fu la fucilazione di 335 detenuti, ebrei, antifascisti e militari alle Fosse Ardeatine, una cava in periferia di Roma).

Chi componeva i Gruppi di Azione Patriottica?

Essi erano composti da forze politiche molto diverse, ma unite nella visione di una guerra resistenziale che restituisse agli italiani la dignità e la libertà persa durante il ventennio fascista. Esse erano raggruppate intorno ad ideali politici forti dei partiti contrari al fascismo:

  • Le Brigate Garibaldi erano raggruppamenti per lo più di area comunista
  • Le Brigate Matteotti erano gruppi vicini al partito socialista
  • Giellisti (da GL: Giustizia e Libertà) erano vicini al Partito d’Azione, movimento che si ispirava al liberalismo teorizzato da Piero Gobetti, ucciso dai fascisti a Parigi nel 1925.
  • Partigiani bianchi: vicini al vecchio partito Popolare e alla nuova formazione politica di centro dei cattolici democratici chiamata Democrazia Cristiana.
  • Partigiani monarchici: partigiani che, pur essendo vicini al re, ne avevano preso le distanze quando Vittorio Emanuele III aveva dato il potere nelle mani del Duce.

Queste formazioni partigiane derivavano, per lo più, dai principali partiti antifascisti, che si erano già riorganizzati durante gli anni di clandestinità. Essi erano così composti

DESTRA: Partito Liberale italiano (PLI: gli ex colleghi di Giolitti)

CENTRO DESTRA: partito repubblicano italiano (PRI)

CENTRO: Democrazia cristiana (DC, partito ancora fedele alla monarchia, per lo più, che intendeva evitare una rivoluzione comunista in Italia, dopo la guerra)

CENTRO SINISTRA: Partito Socialista (di unità proletaria) – Partito d’Azione (anticomunista, liberale, meritocratico, alto borghese)

SINISTRA: Partito Comunista italiano (intendeva unificare le masse proletarie e portarle al potere)

Nei giorni successivi all’8 settembre 1943, si costituì, grazie a questi partiti, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): esso voleva guidare l’Italia a riprendersi la democrazia e la libertà. Il problema del CLN era che gli alleati si fidavano solo del governo di Brindisi, guidato da Badoglio, e inizialmente non prestarono loro molta attenzione (anche perché tutti i partiti del CLN chiedevano la sostituzione del monarchico Badoglio). Ciò portò ad una situazione di grave contrasto tra CLN e governo, sbloccata solo nel 1944 dall’arrivo in Italia di Palmiro Togliatti, leader del partito comunista italiano, che proveniva da Mosca, città in cui era stato in esilio come antifascista. Egli propose di rimandare alla fine della guerra ogni tipo di rimostranza contro il re e contro Badoglio e di fare un fronte nazionale unico antifascista. Questo intervento fu chiamato la Svolta di Salerno (località dove si era spostato il governo badogliano, nel 1944).

Per venire incontro alle esigenze dei partiti del CLN, Vittorio Emanuele III lasciò la luogotenenza al figlio Umberto II, impegnandosi a far diventare Re d’Italia quest’ultimo, una volta finite le ostilità.

Questo portò alla costituzione, anche nel nord Italia, del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia), che coordinò le azioni della resistenza italiana al di sopra di Bologna, condotte in contatto con gli inglesi, che di quando in quando paracadutavano uomini e messi per la resistenza. Le azioni divennero più frequenti, così come i casi di rappresaglia delle camicie nere di Salò. Nacquero anche effimere repubbliche partigiane in Ossola, Albese, Oltrepo pavese). L’anno più duro per la resistenza italiana fu quello tra l’estate ’44 e la primavera ’45, quando l’offensiva alleata in Italia si arrestò a sud di Bologna. Fu anche il periodo delle stragi più cruente del nazifascismo (ad esempio quella di Marzabotto, con 1800 persone trucidate in un paese del bolognese considerato troppo amico dei partigiani, o, nella Versilia toscana, a Sant’Anna di Stazzema)

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