La ricerca in rete, tra utopie e nuove frontiere digitali – Prima parte
Sommario
Lo studente analogico
Se penso al modo in cui si facevano le ricerche quando ero studente, e fino ai giorni in cui comincia questa storia (che è già preistoria tecnologica), mi chiedo come fosse possibile fare ricerca allora e avere ancora tempo per tutte le altre cose da fare. Prendevi l’autobus e andavi nella migliore biblioteca della città. L’atmosfera surreale da cattedrale ti avvolgeva mentre camminavi a passo lento e preoccupato nella sala degli archivi. Cercavi i testi e gli autori in ordine alfabetico all’interno di scaffali enormi con elenchi cartacei. Estraevi le schede che ti interessavano e andavi al bancone del ritiro. L’addetto inviava le tue richieste attraverso cilindri che scorrevano all’interno di tubi pneumatici e cominciavi ad aspettare che arrivassero i libri. Una volta arrivati, verificavi se c’erano tutti o se qualcuno mancava perché già in uso. A questo punto avevi due strade: o trovavi un tavolo e cominciavi la consultazione con le prime stesure delle bozze e dei riferimenti, prendendo nota di pagina e capitolo di ogni testo su cui lavorare, oppure, se i testi non erano più di due o tre, li portavi a casa per una lettura più comoda. Dopo questo inizio di ricerca delle fonti, che spesso richiedeva un impegno di diverse ore, arrivava il lavoro vero e proprio di stesura del testo, verifica e analisi delle fonti e le mille correzioni necessarie per una pubblicazione che forse il tuo professore avrebbe ritenuto appena sufficiente.
Da quella gioventù analogica a oggi, la storia della ricerca è un viaggio incredibile che racconta non solo l’evoluzione della tecnologia, ma anche la trasformazione del nostro modo di accedere alla conoscenza. In poco più di trent’anni, siamo passati dalle schedine cartacee e dai tubi pneumatici delle biblioteche alle risposte istantanee sui nostri smartphone, un cambiamento che riscrive il rapporto con l’informazione e la conoscenza.
Questo articolo ripercorre questa evoluzione. L’ho diviso in due parti distinte, sia per la lunghezza complessiva del testo, sia per far rivivere quella strana sensazione di attesa delle cose un po’ svanita nel mondo in versione espressa in cui viviamo.
La prima parte ci riporta all’inizio della ricerca online, quando Internet era ancora una bella promessa e la ricerca di informazioni, pur rivoluzionaria rispetto al passato analogico, richiedeva ancora pazienza, tempo e una buona capacità di strutturare la ricerca nei tempi e nei contenuti.
La seconda parte esplora come l’evoluzione tecnologica ha trasformato in modo definitivo i modi e gli strumenti di ricerca, introducendo intelligenza artificiale, dispositivi mobili e social media, e fa luce sulle sfide attuali e future, analizzando questioni importanti come la privacy, la personalizzazione dei risultati e le prospettive future della ricerca online.
Attraverso questo percorso, si evidenzia non solo la storia di un’evoluzione tecnologica, ma anche il racconto di come sono cambiate: aspettative, abitudini e capacità di accesso all’informazione. È la storia di tutti, perché la ricerca online è diventata parte vitale, per passatempo, studio e lavoro del nostro quotidiano.
La prima trasformazione tecnologica
La metà degli anni ’90 segnò la prima vera trasformazione tecnologica legata all’uso del computer e della Rete. La diffusione di Internet e le prime interfacce grafiche stabili diedero il via ad una trasformazione nel modo di studiare e fare ricerca. Le biblioteche tradizionali convivevano con i primi esperimenti di digitalizzazione, mentre gli studenti iniziavano a esplorare le potenzialità di queste tecnologie che facevano immaginare sviluppi incredibili nel modo di creare e diffondere la conoscenza. Il World Wide Web, ideato pochi anni prima da Tim Berners-Lee e Robert Cailliau al CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra, aveva trasformato Internet in un sistema di documenti ipertestuali interconnessi. Berners-Lee creò sia il linguaggio HTML (HyperText Markup Language – Linguaggio di Marcatura per gli Ipertesti), sia il primo browser “WorldWideWeb” per visualizzarle. Questo sistema pionieristico aprì la strada a browser più evoluti come Mosaic e Netscape Navigator, che resero il Web accessibile al grande pubblico.
L’inizio della storia
Una mattina di ottobre, un sole ancora caldo che ricorda l’estate, riscalda i passi di Maria, una giovane studentessa universitaria intenta a ripassare i passaggi necessari per la sua ricerca sui dinosauri, un progetto di paleontologia importante per la sua tesi di laurea.
Accende il computer, ed è sicura sulla qualità del lavoro che riuscirà a fare grazie alla nuova tecnologia, rapida ed efficiente, che avrebbe avuto a disposizione. Un sistema avanzato per l’epoca, un PC con processore Intel Pentium a 133 MHz, dotato di 16 MB di RAM e un disco rigido da 1 GB, così capiente da sembrare uno spazio infinito. All’accensione il ticchettio della testina sui dischi alla ricerca dei file d’avvio la rassicurava che tutto stava funzionando come dovuto. Sullo schermo, un enorme monitor di 15 pollici che occupava metà della scrivania, lampeggiava Windows 95, il nuovo sistema operativo di Microsoft, che prometteva di cambiare l’interazione con il computer semplificandola e rendendola più intuitiva e familiare.
In quel periodo esistevano solo 23.500 siti web in tutto il mondo (contro gli oltre 1,5 miliardi di oggi). I giovani studenti come Maria pensavano ad Internet come ad una grande biblioteca digitale, un luogo dove studenti e ricercatori potessero accedere alle informazioni accademiche e contribuire alla sua crescita con contenuti originali e rilevanti. Internet era ai suoi primi passi, tutti sognavano di partecipare in modo attivo in quel mondo virtuale in modo libero e democratico anche se la realtà era fatta di siti formulati come semplici pagine personali composte di testi e immagini statiche, ospitate su piattaforme come Geocities. Ma c’era nell’aria la sensazione che qualcosa di straordinario stesse per accadere, e che ognuno potesse essere parte di questo cambiamento. Un’aspirazione che si sarebbe scontrata e infranta con la commercializzazione del World Wide Web nei decenni successivi.
I suoni del modem, un sibilo stridente simile a quello delle vecchie stampanti ad aghi, riempiono la stanza mentre Netscape Navigator si carica sullo schermo. Maria inizia la sua esplorazione attraverso le directory di Yahoo! Click dopo click, categoria dopo categoria, quella che oggi chiameremmo una ricerca si trasforma in un viaggio di scoperta che poteva durare ore.
La guerra dei browser e un sogno perduto
L’origine della guerra dei browser affonda le radici nella comprensione, da parte dei grandi attori tecnologici, del potenziale economico della pubblicità online. Microsoft e Netscape non stavano semplicemente competendo per il controllo di un software, ma per il dominio dell’interfaccia attraverso cui gli utenti avrebbero acceduto al web emergente. Chi controllava il browser avrebbe potuto influenzare il modo in cui la pubblicità veniva mostrata e consumata, aprendo la strada a nuovi modelli di business basati sulla vendita di spazi pubblicitari digitali. Questa intuizione spinse Microsoft a includere gratuitamente Internet Explorer in Windows, una mossa che avrebbe drasticamente cambiato gli equilibri del mercato.
Nella metà degli anni ’90, il Web era un territorio di conquista dove si combatteva una vera battaglia per il dominio del mercato dei browser. Questa “guerra” vedeva protagonisti principalmente Netscape Navigator e Internet Explorer di Microsoft, con conseguenze che andavano ben oltre la semplice competizione commerciale. Ogni browser interpretava l’HTML, il linguaggio base del Web, in modo diverso, creando una frammentazione che rendeva difficile sia la creazione che la fruizione dei contenuti online.
I webmaster dell’epoca si trovavano di fronte a un dilemma: creare siti che funzionassero su tutti i browser, sacrificando funzionalità avanzate, o ottimizzare per un browser specifico, escludendo di fatto una parte degli utenti. Questa situazione portò alla comune presenza nei siti web della scritta “Meglio visualizzato con…” seguita dal logo del browser consigliato, una sorta di avvertimento per i visitatori.
La struttura dei siti web si basava pesantemente sull’uso di tabelle, non per presentare dati come oggi, ma per creare il layout delle pagine. I contenuti venivano forzati in rigide griglie con dimensioni fisse in pixel, pensate per schermi standard da 15 o 17 pollici. Questo approccio rendeva i siti praticamente inaccessibili su schermi più piccoli o più grandi, un problema che sarebbe diventato prioritario con l’avvento dei dispositivi mobili anni dopo con la creazione del detto “Mobile first” per intendere che i siti dovevano essere costruiti in modo che riconoscessero le dimensioni degli schermi e vi si adattassero automaticamente.
Questa frammentazione aveva un impatto diretto sulla ricerca delle informazioni online. I primi motori di ricerca come AltaVista o Yahoo! faticavano a indicizzare correttamente i contenuti, spesso nascosti in complesse strutture tabellari. Gli utenti si trovavano frequentemente di fronte a risultati che apparivano perfetti su un browser ma completamente disordinati su un altro, costringendoli a tenere installati più browser e a saltare da l’uno all’altro per accedere a tutti i contenuti.
La situazione cominciò a cambiare con l’arrivo di Google, un motore di ricerca allora all’avanguardia per velocità e leggerezza e che premiava i contenuti ben strutturati e accessibili. La guerra dei browser fece capire la necessità di un web più aperto e con standard di sviluppo condiviso. Fu nella prima decade degli anni 2000 che browser e siti internet cominciarono a essere sviluppati seguendo gli standard del World Wide Web Consortium (W3C). Fu l’inizio della rivoluzione mobile e responsive che sarebbe seguita nel decennio successivo.
La commercializzazione di Internet, iniziata con la guerra dei browser, segnò un punto di svolta. Il web, nato nelle università come strumento di condivisione della conoscenza, si trasformò in breve in un mercato dove l’attenzione degli utenti diventava merce di scambio. Il browser, un software potentissimo, era installato con il sistema operativo o poteva essere scaricato gratuitamente dalla rete. Ma questa gratuità aveva un prezzo nascosto: i dati degli utenti e la loro attenzione pubblicitaria. Il potere si concentrò nelle mani di poche grandi aziende, mentre gli utenti si trasformarono da creatori di contenuti a consumatori, e nuove barriere economiche per la visibilità online emersero progressivamente.
La visione originale di Tim Berners-Lee di uno spazio democratico di condivisione venne gradualmente sostituita da un modello commerciale centralizzato. Ironicamente, gli strumenti che dovevano democratizzare l’informazione finirono per creare nuovi monopoli informativi. Questa trasformazione continua a influenzare il web contemporaneo, dove la maggior parte del traffico è controllato da un numero limitato di piattaforme che monetizzano l’attenzione degli utenti attraverso sistemi pubblicitari sempre più sofisticati.
I primi passi della ricerca online
In quella fase iniziale, Internet era un mondo in evoluzione, quasi un esperimento dove la scoperta si intrecciava con l’incertezza. Strumenti come le directory, tra cui spiccavano Yahoo! e Virgilio, rappresentavano l’unica porta d’accesso all’informazione digitale, organizzata in categorie rigide e gerarchiche. Per trovare informazioni sui dinosauri, ad esempio, Maria doveva navigare lungo percorsi predefiniti: Scienza > Biologia > Paleontologia. Era un processo che richiedeva pazienza e capacità di analisi delle informazioni immediate, ma che segnava un primo passo verso un nuovo modo di accedere alla conoscenza. Questo metodo, lento ma coinvolgente, era solo l’inizio della ricerca online, un’attività che, nei decenni successivi, avrebbe visto trasformazioni incredibili, rendendo l’accesso alla conoscenza un’esperienza sempre più intuitiva e veloce.
Come si cercava in rete nel 1995
Nel 1995, cercare informazioni su Internet era un’esperienza che richiedeva pazienza e pianificazione. La connessione avveniva tramite modem analogici a 28.8 kbps, forse Maria nella biblioteca universitaria disponeva di un modem all’avanguardia di ben 58 kbps. Questi modem monopolizzavano la linea telefonica ed emettevano suoni caratteristici durante il collegamento. Ogni minuto online aveva un costo, spingendo gli utenti a preparare le ricerche offline, questo significava preparare la struttura di ricerca, una scaletta da seguire prima di connettersi allo scopo di contenere i costi di connessione.
Una volta online, la ricerca si basava principalmente su directory come Yahoo!, chiamati anche “portali”, che organizzavano manualmente i contenuti in categorie gerarchiche. Gli utenti navigavano attraverso percorsi strutturati, ad esempio partendo da “Scienza” per arrivare a sottocategorie più specifiche come “Paleontologia”.
Yahoo!, inizialmente sviluppato nel 1994 da due studenti di Stanford, Jerry Yang e David Filo, come “Jerry and David’s Guide to the World Wide Web”, rappresentava una soluzione pionieristica per classificare i siti web emergenti. Nel 1995, la piattaforma si affermò come una directory centrale del web, influenzando profondamente l’organizzazione delle informazioni online e il futuro sviluppo di motori di ricerca come Google.
Questa fase iniziale del web era caratterizzata da ricerca e sperimentazione, in cui ogni sito trovato poteva essere una piccola conquista. L’accesso limitato e le velocità di connessione ridotte e la difficoltà di tracciare una via di ricerca esatta verso l’obiettivo, davano al processo più un senso di avventura che di pratica studio e analisi. Tale esperienza, così diversa e impensabile oggi, ha posto le basi per l’evoluzione di Internet verso strumenti più sofisticati e user-friendly.
Attribuzioni
L’immagine in evidenza è generata con il supporto di un’intelligenza artificiale tramite DALL·E, sviluppato da OpenAI.