| 

La produzione di romanzi in Europa tra 1890 e 1925 e la figura di Italo Svevo (1861-1928). Parte prima.

L’età in cui crebbero e fiorirono autori come Italo Svevo e Luigi Pirandello fu un’epoca di grandi cambiamenti sociali, economici e politici in Europa.

La Prima guerra mondiale rese la società più debole, più disposta alla violenza, meno solidale, più rivolta al singolo che alla massa. Il romanzo di questo periodo lascia indietro le narrazioni realiste per dedicarsi alla psiche dei personaggi. I libri di questo periodo ci propongono scarse azioni e moltissimi pensieri: le trame si riducono al minimo, importantissimo diventa lo studio del carattere, delle aspettative, delle riflessioni. Diversi sono i grandi scrittori di quest’età storica: Marcel Proust scrive la raccolta di romanzi Alla ricerca del tempo perduto (edita tra il 1913 e il 1927) e si concentra sul tempo interiore, sul ricordo. James Joyce, autore anche del volume Gente di Dublino, scrive il suo capolavoro nel 1922: Ulisse. Esso tratta dell’unica giornata di un uomo di Dublino, Stephen Dedalus, e ne descrive il pensiero così come esso si genera nella mente umana. Salta perciò la punteggiatura, la sintassi e si legge un flusso di coscienza, un ininterrotto fluire di parole, legate solo da qualche minimo particolare comune, senza alcun controllo logico.

In area tedesca e ceca, Thomas Mann, con I Buddenbrook e La montagna incantata parla della fine di un’epoca, quella controllata dalla borghesia europea, che smarrisce i suoi valori e non sa più in che cosa credere. Kafka, a Praga, con i volumi Il processo, America e il racconto La metamorfosi (1915), si concentra invece sulla nullificazione dell’essere umano. Questi è schiacciato da una società che lo rifiuta e lo mette ai margini se non si adatta ai suoi ritmi e ai suoi canoni (lo dimostra bene il caso di Gregor Samsa, protagonista de La metamorfosi).

In Italia (o per meglio dire nella zona di lingua italiana dell’Impero Austro-Ungarico: Trieste) lavora Italo Svevo (al secolo: Ettore Schmitz), autore di origine ebraica che, dopo due prove narrative interessanti ma praticamente non considerate dal pubblico e dalla critica (Una vita del 1892 e Senilità del 1898), può permettersi un silenzio creativo di circa 25 anni, derivante dalla sua condizione agiata di vita (inizialmente bancario, egli diviene genero del principale produttore di vernici sottomarine d’Europa, il signor Veneziani di Trieste).

In Una vita, il protagonista, Alfonso Nitti, è un bancario senza grosse prospettive di carriera che frequenta Annetta, la figlia del suo principale. Lei lo considera non un bell’uomo ma un uomo interessante preché…scrive. Anche lei scrive (malissimo!) e il suo è solo un capriccio. Alfonso verrà lasciato da lei e si suiciderà: con lui nascerà il personaggio dell’inetto, dell’incapace a vivere, dell’incapace a sopportare i tanti guai pratici della quotidianità.

In Senilità (che significa “Vecchiaia”), Emilio Brentani, il protagonista poco più che trentenne, ha una relazione con Angiolina (Giolona), ragazza giovanissima, molto bella e libera dal punto di vista sentimentale e sessuale. Lui non vuole alcun legame serio, e a lei va benissimo così. La loro storia viene in qualche modo ostacolata dagli altri due personaggi del romanzo: Amalia, la sorella malata di Emilio, e da Stefano Balli, amico di Emilio, artista e scultore. La bella GIolona interromperà la sua storia con Emilio per stare con Stefano, attratta dalla sua aria di creativo; Amalia invece, innamorata segretamente di Stefano, si suiciderà non venendo affatto considerata dallo scultore. Emilio, allora, si metterà da parte, non vivrà più una vita da trentenne: guarderà gli altri vivere, non si calerà più nel flusso della vita, deluso da se stesso e dalle scarse prospettive che gli ha offerto sino ad allora l’esistenza (egli era uno scrittore di fama molto contenuta, solo nel Triestino). La scelta di guardare gli altri vivere le loro vite, senza parteciparvi, è un comportamento tipico degli anziani. Da qui il titolo del testo.

Il capolavoro di Svevo, La coscienza di Zeno, uscirà solo nel 1923, dopo molti anni di silenzio. Svevo, in quel periodo, inizia a lavorare come commerciale per la ditta Veneziani e deve spostarsi anche fuori dall’Italia. Viaggerà molto in Inghilterra, e, per questi motivi, conoscerà lo scrittore James Joyce a Trieste; quest’ultimo gli darà lezioni di inglese e i due si confronteranno sulle rispettive opere. Joyce spinge Svevo a pubblicare La coscienza di Zeno, un romanzo basato sulla tecnica del monologo interiore, ovvero sulla descrizione non di fatti, cose o persone da parte di un narratore esterno, ma delle riflessioni del protagonista, in presa diretta, come se il narratore fosse dentro la testa del suo personaggio.

Il lettore, vedendo nascere i pensieri nella testa di Zeno, però, sa che non dovrà mai fidarsi di lui. Zeno ha problemi psichici, soffre di dolori psicosomatici e di vari complessi. Per risolverli, si rivolge al dott. S. (forse pseudonimo di Sigmund Freud), psicanalista che gli suggerisce di descrivere in un quaderno la sua vita da giovane e da adulto. Zeno lo fa per forza e senza sincerità. Ciò lo porta ad analizzare il suo malessere con il padre (egli è affetto dal complesso di Edipo, che lo fa sentire inferiore rispetto al genitore) e i suoi problemi relazionali con le donne e la società. Per tutti, Zeno è un perdente, un uomo senza qualità positive, un mediocre, un malato immaginario. Invece, ed è il motivo per cui noi veniamo a conoscenza delle sue parole, Zeno è una persona che sa di essere malata e che capisce che la psicanalisi non lo curerà mai. Per questo abbandona la terapia e il dottor S., arrabbiato con lui, si vendicherà pubblicando i suoi scritti.

Ulteriori informazioni sul romanzo e sulla produzione contemporanea a La coscienza di Zeno nel file audio allegato.

Qui invece potrai ascoltare l’introduzione alle parti successive del romanzo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *