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Il futurismo

Le origini del movimento

Il Futurismo nasce in Francia, per poi trasferirsi in Italia, nel 1909. La prima apparizione delle sue idee di rinnovamento, di odio del passato, di sperimentazione appare sul quotidiano parigino Le Figaro del 20 febbraio 1909. La scelta è dirompente: anziché rivolgersi ad un pubblico di specialisti, di letterati, l’estensore del Manifesto futurista e fondatore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), decide di parlare all’enorme numero di lettori di quella testata. Si tratta di una prima provocazione, tra le tante di cui sarà autore il suo movimento culturale attraverso i suoi successivi manifesti (dedicati a diverse arti, tra cui anche la cucina). Parigi, la città dove Marinetti si era laureato e aveva conosciuto i poeti Apollinaire e Ungaretti, è la città giusta per questo tipo di cose. In scultura, musica, poesia e arte figurativa, la capitale francese è all’avanguardia in quegli anni, ospitando le vite di pittori quali Pablo Picasso (Les demoiselles d’Avignon, 1907), di filosofi come Henri Bergson (che ha teorizzato l’evoluzione creatrice e lo slancio vitale, idee secondo le quali la realtà si coglie solo nel movimento, non nel riposo), di musicisti come Igor Stravinskij (che comporrà, tra il 1909 e il 1913 i balletti L’uccello di fuoco, Petrouska e il “rumorista” La sagra della primavera).

Le origini

Il movimento futurista ha le sue origini nel Simbolismo francese. Se ci si ricorda delle opere di Baudelaire, la Natura ha leggi e movimenti che l’occhio umano non può vedere. Per capirla davvero, bisogna andare al di là dell’esperienza, cercando una realtà più profonda, estranea al mondo dei sensi. E’ un percorso che, portato agli estremi, condurrà, in arte, all’Astrattismo. Per entrare a pieno titolo nella natura, occorre essere ebbri, ubriachi di vita (uno stato molto simile al Dionisiaco di Nietzsche): i poeti del futurismo saranno superuomini e titani. Il Futurismo si pone come la fine della retorica del Decadentismo e si accompagna alla forte volontà di smantellare il passato e di garantire un futuro alle arti partendo dall’estetica della novità, dell’innovazione, dell’avanguardia.

I valori artistici del Futurismo

Velocità, odio del passato, distruzione dei simboli del Romanticismo, parole scritte in libertà, senza alcun tipo di controllo sintattico e grammaticale, utilizzo delle onomatopee, dei rumori della strada, delle armi, della guerra (il cosiddetto Bruitismo): questi sono i valori principali del Futurismo di Marinetti e poi, in Russia, di Majakovskij. La guerra viene esaltata dai futuristi, perché è l’unica “igiene del mondo”, che permette di sbarazzarsi dei vecchio e noioso passato e di far prevalere la gioventù. Il mondo di una volta va cancellato, distrutto, al suo posto devono sorgere fabbriche, auto, aerei: il futurismo è un inno alla velocità, al movimento, alla rapidità. Per questo, nel manifesto dedicato alla letteratura, esso propone di “uccidere il chiaro di luna”. In Italia, Marinetti e Mussolini si legarono di un forte sentimento di amicizia, che portò il letterato ad aderire ai primi Fasci di combattimento (1919-20). In seguito, deluso dalla svolta politica conservatrice di Mussolini (si vedano le posizioni molto più rispettose dei valori della Chiesa, della Monarchia e dei profitti del mondo industriale emerse nel 1921-22), Marinetti lascia il movimento. I futuristi vogliono la follia, odiano il buon senso borghese, amano la macchina, l’elettricità. Le biblioteche, Il passato dell’Italia, luogo tra i più polverosi del mondo, va bruciato; basta con l’interiorità (Pascoli, Gozzano), viva l’esteriorità, il mondo moderno.

Le principali opere di Marinetti

Oltre al Manifesto del 1909, Marinetti compone diverse raccolte poetiche e alcuni romanzi. Il suo primo periodo è vicino al Simbolismo francese (Mallarmé, Verhaeren: poeta belga di cui Marinetti apprezzerà i valori del mare e del sole). L’opera più innovativa a livello poetico è Zang Tumb Tumb (1914): poesia rumorista scritta sull’onda della seconda guerra balcanica, che celebra l’assalto di Adrianopoli (Bulgaria). In quest’opera si dimentica il verso libero di D’Annunzio e si penetra in un mondo fatto di parole in piena libertà espressiva, senza legami logici e sintattici, tutte immaginarie. Essa esalta la puzza, la violenza, il sangue, gli scoppi. Tutte le facoltà sensoriali vengono coinvolte.

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