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Democrazia e verità: mai fidarsi, senza aver controllato!

All’interno dell’intervista rilasciata da Julian Nida-Rümelin al quotidiano “Avvenire”, quest’ultimo parla dei problemi riguardanti la relazione tra democrazia e verità, poiché sostiene che i politici svalutino la verità per i propri scopi. L’intervista continua parlando della democrazia. Il filosofo parla di quest’ultima dicendo che, per essere chiamata tale, deve avere una verità empirica, verificabile dai cittadini, e delle normative. L’intervista si avvia alla conclusione parlando del monopolio informatico della comunicazione e di come agire contro esso. Rümelin risponde dando due risposte: una positiva e una negativa. Quella positiva è questa: il monopolio aiuta a migliorare la partecipazione politica per la capillarità delle notizie e quella negativa è che la rete viene utilizzata per controllare i cittadini nei paesi retti da una dittatura. Il filosofo conclude l’intervista dando dei consigli agli educatori e ai fruitori dei social: la formazione digitale deve orientarsi verso una buona capacità di giudizio rispetto alle informazioni che riceviamo e verso l’ottenimento di un’autonomia personale maggiore.

La frase “tutto è diventato illusorio” viene utilizzata per spiegare il meccanismo che ormai i politici stanno adottando per farci credere quello che vogliono, distogliendo la nostra attenzione dai problemi più gravi o dandocene una visione addolcita. Per esempio, l’altro anno, molti partiti hanno basato la loro campagna elettorale principalmente sull’immigrazione clandestina, definendo questi processi come delle “invasioni”; invece, molte volte, si trattava di “sole” trecento persone. Ma cosa sono trecento persone rispetto a tutta la popolazione italiana? Nulla. Però i cittadini, non informandosi e associando la parola “invasione” a un gruppo di persone molto folto, nel sentire questi termini si sono “spaventati”, votando quei partiti che promettevano di mettere fine a questi sbarchi sbarchi di massa. Questo tipo di informazione è illusoria perché serviva solamente a distogliere l’attenzione degli italiani dai veri problemi dello Stato.

Secondo Rümelin, per costruire la Democrazia bisogna aumentare la difesa dei diritti individuali e partecipare attivamente ai processi politici, recandosi di persona ai consigli ai consigli comunali e non accontentandosi del riassunto di un giornalista. Quindi occorre informarsi senza essere influenzati dai pensieri di terzi. Al giorno d’oggi i social media influiscono molto nella costruzione del pensiero delle persone, anche nelle democrazie. Noi stiamo vivendo in una società non paragonabile a quelle precedenti. Infatti siamo in un’epoca in cui abbiamo tante libertà, che solo cent’anni fa erano impossibili da immaginare. Però, pur essendo in una società cosi libera, siamo delle persone che si informano poco su ciò che accade nel mondo o vicino a noi, che si accontentano di ciò che leggono sui social.

Siamo nell’era nella quale abbiamo tutti i mezzi per informarci ma non siamo informati. Un paradosso, insomma!

Purtroppo, negli ultimi anni, cioè da quando Instagram ha iniziato a prendere il sopravvento sulle nostre vite, più volte mi sono fatta un’idea su un argomento leggendone i pareri pubblicati su questo social media, senza informarsi veramente. Mi sono accaduti due episodi che mi hanno fatta riflettere molto su quanto la verità proposta da un singolo, o da un gruppo di persone, possa diventare la verità di molti. Il primo episodio riguarda l’incendio di Notre-Dame. Quand’è successo, tutti gli iscritti di Instagram hanno riempito la piattaforma di immagini per condividere il loro rammarico e dispiacersi per l’accaduto, me compresa. Poi, dopo essere stata rimproverata da mia sorella perché era in disaccordo con tutte queste attenzioni verso Notre-Dame quando c’erano guerre in corso, ho capito che ero stata vittima dei social media anche io. Insomma sì Notre-Dame è importante, ma meritava davvero tutte quelle attenzioni? Più attenzione di quella che rivolgiamo a persone che muoiono in mare o delle guerre? No, e la cosa drammatica è che essa ha avuto tante attenzioni solamente perché si trovava in un continente “privilegiata”, e non solo: era anche il simbolo di una delle nazioni più ricche e antiche del mondo.

Dopo quest’episodio, ho capito quanto sia esteso il monopolio dei media, che ci focalizzano sulle loro priorità. Il secondo episodio riguarda un post di Roberto Saviano. Quest’ultimo aveva pubblicato una foto dicendo che la didascalia presente nell’immagine era una bufala e lui spiegava il perché, esponendo la sua verità. Però, come possiamo sapere se i politici , gli uomini di cultura o i maggiori esponenti dello Stato, dicano sempre la verità? Non possiamo, e ciò significa che la verità del singolo può cambiare, non è assoluta.

Dopo questi due episodi, specialmente dopo il primo, mi sono sentita male ed in colpa. Ma non perché io non mi interessi o preoccupi delle guerre e dell’immigrazione, ma perché i valori in cui credo sembravano messi in ombra dai “valori” dei social.

Stella Pazé (V B)

Un commento

  1. Bell’argomento! Brava.
    Tutti, e da sempre, politici e non, spesso distorcono la realtà per ottenere vantaggi o deviare l’attenzione verso altri orizzonti. Noi stessi, se ci guardiamo bene dentro, non possiamo non riconoscere quante volte abbiamo fatto la stessa cosa.

    Cerchiamo, a volte riuscendoci a volte no, di sviare o cambiare la realtà delle nostre azioni per gli stessi motivi, ottenere vantaggi, non fare una brutta figura, non assumersi una responsabilità, perché la colpa è di qualcosa o di qualcun’altro.
    Queste azioni del quotidiano, quando portate sui social, la cui complessità invasiva e di cambiamento dei comportamenti, solo ora cominciamo ad intuire e non ancora a capire, assumono rilevanza globale con effetti che possono essere trascurabili o critici a seconda di chi le propone.
    Possono colpire un singolo, un gruppo di persone, o perfino influenzare le storie di Paesi e governi. Basta ricordare il Russiagate o lo scandalo della Cambridge analytica.

    Ma non parliamo solo di grandi eventi, stiamo sul “piccolo”. Quente immagini sono postate ogni giorno per prendere in giro quel compagno o compagna solo per deridere e prendere in giro?

    Sono i comportamenti dei singoli a formare la società, compresi gli strumenti che la caratterizzano. Per ridimensionare il tutto e portare anche i social ad una dimensione meno morbosa, ci vorrebbe più spirito critico e dimenticarsi del desiderio di apparire o mostrare di esistere.

    Credo che il controllo dei social sia sfuggito alla capacità di critica dei singoli. Solo leggi mirate dei governi possono limitare la perversione in cui il loro uso ha deviato i comportamenti della stragrande maggioranza della gente.

    Ma è proprio necessario fare una foto di ogni momento della propria vita e pubblicarla o metterla come profilo? È possibile che la percezione del privato sia talmente cambiata che ora è privato solo quello definito nel GDPR privacy, e se non firmi il trattamento dei dati personali non si riesce neanche ad iscriversi alla lista news del supermercato di quartiere?

    Un piccolo sforzo si potrebbe fare e non è un grande sacrificio e potrebbe essere un inizio: evitare di fare foto a tutto e a tutti e postarle a destra e a sinistra e scrivere commenti e pubblicarli senza rileggerli. Alla fine della fiera, a guardarli, questi social sono solo raccolte di foto, video e pensieri spesso inutili e distorti, utilizzati per mostrare la propria esistenza in rete.
    Ma attraverso questi banalissimi motivi i 5 grandi padroni della rete, hanno ottenuto la chiave per spiare le nostre vite.

    Tre risorse: una utile, l’altra un po’ frivola ma simpatica, e un pettegolezzo, magari falso.
    1. Come era utile Internet prima dei social: https://www.corriere.it/tecnologia/19_ottobre_08/i-social-hanno-cambiato-internet-ma-vero-problema-che-hanno-cambiato-anche-noi-d1a64d58-e5e3-11e9-b5eb-dc1ff9a38071.shtml
    2. l’amore prima di Internet: https://www.grazia.it/stile-di-vita/hot-topics/amore-senza-internet-facebook
    3. #hovistocleopatrabaciareantonio.

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