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Breve percorso infernale: dal XIII al XXVI canto dell’Inferno dantesco

Nei primi dieci canti, Dante e Virgilio hanno incontrato i peccatori di incontinenza, le persone che si sono lasciate eccessivamente trasportare dalle loro voglie umane e hanno dimenticato Dio e la ragione.

Più si scende nell’inferno, più ci si trova a contatto con le anime che hanno offeso Dio in modo cosciente, o perché hanno abbandonato le leggi naturali o quelle divine: sono stati peccatori volontari contro gli altri loro simili, contro l’arte o la natura (che nel Medioevo si credevano sorelle minori di Dio).

Da qui in avanti, per quanto riguarda il settimo cerchio infernale, si troveranno i peccatori che sono stati violenti, contro gli altri, contro se stessi (i suicidi), violenti contro Dio e la natura (scialacquatori, sodomiti, usurai).

Nell’ottavo cerchio Dante colloca i peccatori fraudolenti, coloro che hanno tradito la fiducia di chi non si fidava; nel nono cerchio, quello più vicino a Lucifero, i traditori peggiori, che hanno ingannato il loro prossimo, quello che si fidava di loro.

Interessante ricordare il fatto che, nel secondo cerchio del settimo girone infernale, Dante incontri un suo collega: Pier della Vigna, poeta presso la corte di Federico II di Svevia, uccisosi in carcere perché, calunniato, aveva perso la stima del suo signore (XIII canto dell’Inferno).

L’ottavo cerchio è costituito da dieci buche circolari (chiamate bolge), che convergono al centro, dove si trova un lago a forma di cerchio, chiamato Cocito. E’ un lago gelato. Qui vengono puniti gli sfruttatori (frustati dai demoni) e gli adulatori (che sono ricoperti di sterco).

Nel canto XIX Dante sfoga tutta la sua rabbia contro il nemico Bonifacio VIII, attaccato con violenza ma anche con grande sarcasmo. Nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, il poeta colloca i preti simoniaci. Qui egli incontra un papa di tardo Duecento, papa Nicolò III, che scambia Dante per Bonifacio VIII e gli chiede come mai sia già lì, dato che, da quanto lui sapeva, sarebbe dovuto arrivare qualche anno dopo…

In seguito Dante vede gli indovini (che possono vedere solo dietro le loro spalle e camminano lenti), i barattieri (immersi nella pece perché, pur di guadagnare, si lasciarono corrompere in ogni modo), gli ipocriti (cui pesa sulla schiena un macigno di piombo), i ladri (che corrono nudi in un terreno pieno di serpenti, con le mani bloccate dietro la schiena; alcuni, morsi da un drago, si trasformano: alcuni in cenere, altri in serpenti per metà uomini e per metà rettili, altri ancora si scambiano il corpo con il serpente che li ha morsi).

Nel ventiseiesimo canto dell’Inferno entriamo nell’ottava bolgia, dove si trovano i peccatori fraudolenti, le persone che hanno usato male la loro intelligenza per truffare il prossimo.

Come già era capitato durante l’incontro con Francesca, anche in questa sezione Dante va in crisi: stima troppo l’intelligenza umana per condannarla, essa è un dono divino, va sfruttato… Però, deve essere custodito e tenuto sotto controllo, altrimenti…

Da una fiamma alta, divisa in due corni, si avvicina un’anima. Essa sta bruciando, nella nebbia, insieme a Diomede, eroe greco della guerra contro Troia: è l’anima di Ulisse.

Ulisse non è all’inferno perché punito per le sue frodi (come il cavallo di Troia), ma per il gesto di superbia che compì quando, una volta ritornato ad Itaca, l’isola greca di cui era signore, decise di fare un’ultima nuova esperienza: andare al di là delle colonne d’Ercole (all’epoca la geografia di Tolomeo aveva fissato il limite ultimo del mondo sullo stretto di Gibilterra, tra Spagna e Marocco). Perché lasciare casa sua quando è ormai vecchio? Perché Ulisse ha un’ansia enorme di conoscere, vuole sempre fare nuove esperienze, vuole capire che cosa si nasconda al di là del confine ultimo del mondo (lì collocato dagli dei e, come tale, immutabile).

La sua è una sete di “Virtù e canoscenza”, che non ha confini. Il peccato si compie nel momento in cui Ulisse ritiene di poter fare tutto da solo, usando soltanto la ragione umana, dimenticandosi della Grazia di Dio. Ha abusato della sua grande intelligenza e, una volta che avrà visto queste terre al di là delle colonne d’Ercole, come a Dio piacque, sarà travolto da un gorgo: le onde sommergeranno infatti la sua barca e lo inghiottiranno nel mare insieme ai suoi compagni di navigazione.

Qui Dante morde il freno: ama tantissimo la conoscenza, ma deve accettare che le norme religiose le fissino dei paletti, delle regole nette, oltre le quali c’è la morte spirituale dell’anima. Per assurdo (o forse no), Ulisse è l’esatto opposto di Dante. Ulisse si fida solo della sua intelligenza, non ha la Grazia. Dante, invece, riuscirà a completare il “folle volo”, arriverà a vedere Dio perché ha accettato la scorta della ragione, prima, e della Grazia, in seguito (incarnata da Beatrice).

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