Alessandro Manzoni, “I promessi sposi”. Riassunto, parte II
Don Rodrigo, per mettere le mani su Lucia, capendo la difficoltà di rapirla da un convento, si rivolge al più noto malfattore della sua epoca: l’Innominato. Egli riesce con facilità a convincere l’amante di suor Gertrude a facilitare il rapimento. Lucia, fatta uscire dal convento, viene caricata a forza su di una carrozza e condotta dai suoi bravi nel castello dell’Innominato. Siccome le grida e le implorazioni di Lucia hanno fatto un certo effetto anche su di un gangster incallito al soldo dell’Innominato, il Nibbio, l’Innominato stesso decide di incontrare Lucia. Il discorso che si sente fare da lei lo turba moltissimo (durante la prigionia Lucia farà voto di non sposare mai più Renzo, a patto che egli possa tornare a casa sano e salvo).
Tornato nelle sue stanze e messosi a dormire, l’Innominato non prende sonno perché la voce della sua coscienza si è svegliata. Che fine farà, dopo tutto il male compiuto in vita? In quel momento, non gli interessa che cosa l’attenda oltre la vita, l’aldilà: come il pastore errante di Leopardi, non trova più un significato alla sua esistenza terrena. Pensa allora di farla finita con un colpo di pistola.
Ma, mentre la disperazione sembra vincerlo, ritorna con il pensiero ad una frase di Lucia: “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”. Questa frase gli risuona incessante nella testa; all’improvviso, dopo la notte insonne, sente un suono di campane (ascolta il capitolo XXII qui; leggilo qui, a pag. 485).
Dopo aver mandato uno dei suoi sgherri in paese, gli viene riferito che quella è la giornata della visita pastorale dell’arcivescovo di Milano, Federico Borromeo. Decide di andare da lui e parlargli. Entra in paese e si fa ricevere da lui. E’ un incontro tra titani: da un lato c’è infatti l’Innominato, il peggiore criminale dei suoi tempi, dall’altro c’è Borromeo, un sant’uomo ricco di cultura, dottrina e pietà autentica. Dio ha toccato il cuore dell’Innominato, con grande forza; egli ne è rimasto fulminato e decide di cambiare vita, riparando ai torti che ha compiuto. Per prima cosa libererà Lucia: andranno a prenderla al castello la sarta locale e don Abbondio, che era in paese per la visita dell’arcivescovo di Milano.
Ad Olate giunge la notizia della conversione dell’Innominato e della liberazione di Lucia. E’ un tremendo colpo per don Rodrigo, che fugge a Milano. Lì fa rientro anche il cardinale Borromeo che affida Lucia ad una donna molto facoltosa, donna Prassede. Don Abbondio, convocato dal cardinale, ne subisce la reprimenda per aver permesso che le cose giungessero a tal punto.
Renzo, che è rimasto nella bergamasca, intanto riceve da parte di Lucia una lettera: lei gli manda 50 scudi (metà di quanto le aveva ceduto l’Innominato per la dote) e gli dichiara di aver fatto voto di castità. Non potrà perciò più sposarlo. A Milano, intanto, donna Prassede fa di tutto per distogliere Lucia da Renzo, senza riuscirvi: è la classica persona che deve fare il bene a tutti i costi!
Intanto siamo nel 1629, periodo in cui gli Spagnoli stavano combattendo i Gonzaga di Mantova nella zona di Casale e del Monferrato; la situazione sociale e politica a Milano è sempre peggiore: per la peste si decide di aprire il lazzaretto, l’ospedale degli incurabili, dei malati di peste. Anche ad Olate la situazione è grave: per paura dei lanzichenecchi, la popolazione si rifugia nel castello dell’Innominato, che ha predisposto tutt’intorno una linea di difesa contro questi mercenari alleati degli Spagnoli. La guerra lascia, come si pensava, la peste, che a Milano infierisce, anche per la vigliaccheria e l’incapacità dei governatori spagnoli. Il lazzaretto è lasciato in mano ai frati, gli unici che tentano di portare un po’ di conforto agli ammalati e agli stremati della città.
Anche don Rodrigo si ammala di peste e viene condotto al lazzaretto; anche a Renzo capita lo stesso, ma la sua fibra lo salva. Rientra nel Milanese e va ad Olate (siamo ormai nel 1630). Lì incontra don Abbondio, cui la peste ha tolto Perpetua. Sa da lui che Lucia è a Milano e vi si reca. Qui apprende che Lucia è stata portata al lazzaretto; tutt’intorno a lui solo morte, puzza e desolazione (il disperato quadro umano che si ottiene, secondo Manzoni, quando l’uomo si fa guidare dalla sua sola ragione, senza alcuna fede in Dio).
Nel lazzaretto Renzo incontra padre Cristoforo, rientrato da Rimini, dov’era stato inviato dai suoi superiori, amici di don Rodrigo. Non si sa se Lucia sia ancor viva. Renzo promette allora di uccidere don Rodrigo, ma padre Cristoforo lo ammonisce: solo con la carità e il perdono è possibile riprendere a vivere in modo sereno. Ottenuta la promessa di evitare la vendetta, Cristoforo conduce Renzo da Rodrigo: egli è ormai moribondo all’interno del lazzaretto. Commosso per l’ormai prossima morte del nobilotto, Renzo, nel reparto femminile del lazzaretto, sente la voce di Lucia.
Enormi pianti quando i due si incontrano, ma poi Lucia dice di non poter spezzare il voto di castità fatto. Padre Cristoforo, esaminata la situazione, sottolinea lo stato di esasperazione in cui il voto è stato fatto: con il consenso di Lucia, può essere sciolto. Renzo torna ad Olate, incontra Agnese e progetta il matrimonio. Ora, senza don Rodrigo, don Abbondio diventa vivace e disteso: finalmente i due ragazzi possono coronare la loro difficoltosa storia d’amore.