Studente riflette davanti al computer se usare la penna o l'IA per scrivere. Immagine generata da DALL-E
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Intelligenza artificiale e creatività umana

Oggi l’intelligenza artificiale fa parte delle nostre vite in modi che solo pochi anni fa avremmo faticato a immaginare. È uno strumento sempre più potente utilizzato per elaborare informazioni, risolvere problemi e, in molti casi, supportare la creatività umana, pensiamo soltanto alla generazione di immagini o alla trasformazione di audio in video, o alla riscostruzione artistica digitale e molte altre ancora. Esitono siti che raccolgono applicazioni di intelligenza artificiale che svolgono i compiti più disparati e ogni giorno ne vedono crescere il numero. Questa crescente interazione tra umano e IA non è priva di interrogativi e dubbi che non coinvolgono solo la sfera scientifica, ma anche quella emotiva ed etica.

Cosa significa collaborare con una macchina? È una scelta che arricchisce o impoverisce il nostro pensiero? E, soprattutto, come mantenere intatta la nostra capacità di riflettere e creare, quando è così facile affidare all’IA compiti che un tempo richiedevano impegno fisico e mentale? Come usare questo strumento? Come mezzo per arricchirci o come scorciatoia per evitare le difficoltà?

L’etica dell’utilizzo dell’IA nello studio

L’intelligenza artificiale sta trasformando l’istruzione, offrendo strumenti che rendono l’apprendimento più veloce ed efficiente. Tuttavia, questa tecnologia pone interrogativi etici importanti: può facilitare lo studio, ma rischia anche di sostituire l’impegno personale.

Da un lato, l’IA è può essere un’assistente intelligente che aiuta a organizzare informazioni e a comprendere concetti complessi. Lo studente può trovare nell’IA un valido aiuto per l’apprendimento delle lingue, per capire la matematica, per farsi aiutare nella grammatica o nello strutturare relazioni o compiti in modo più coerente, e in molti altri modi ancora. Dall’altro, c’è il pericolo che gli studenti la usino per evitare lo studio, ottenendo risultati superficiali e perdendo l’opportunità di sviluppare competenze fondamentali come il pensiero critico e la creatività.

Inoltre, l’uso non etico dell’IA – per “barare” in compiti ed esami – svilisce il valore dell’apprendimento. La vera crescita richiede sforzo e applicazione continua, qualità non sostituibili dalle tecnologie.
Per garantire un uso etico dell’IA, insegnanti e studenti devono collaborare per farla diventare un complemento all’apprendimento personale. I primi devono impegnarsi a fornire importanti e corrette prassi d’uso non solo tecnologiche, ma anche etiche, i secondi devono impegnarsi a capire che l’uso scorretto di tecnologie per risparmiarsi dal lavoro è una pratica che non paga. Non è utile all’apprendimento, non solo della tecnologia, ma anche del significato dello studio per la crescita personale.

Nell’ambito scolastico, per evitare usi non etici si sono resi necessari strumenti per distinguere contenuti generati da macchine e da esseri umani. Risorse come Rephrase.info, GPTZero e ZeroGPT , anche se non affidabili al 100%, aiutano a identificare testi probabilmente creati da intelligenza artificiale, sottolineando come la consapevolezza digitale richieda sempre più competenze specifiche per orientarsi nel mare dell’informazione globale.

Per esplorare più a fondo questi temi, abbiamo immaginato un colloquio tra un essere umano e un’intelligenza artificiale. Il dialogo, riportato nella sua forma originale, quindi non rielaborato in un secondo tempo, affronta in modo diretto e pratico i dilemmi etici, le opportunità e i rischi legati alla collaborazione tra l’uomo e la macchina.

Attraverso dubbi, risposte e riflessioni, si vuole lasciare al lettore il compito di trovare le proprie conclusioni.
In questo dialogo L’IA è Minerva, perché nella mitologia romana, è la dea della saggezza, della conoscenza e delle arti. L’umano si chiama Ulisse, l’eroe curioso e intraprendente, spinto dalla sete di sapere e dalla voglia di esplorare l’ignoto.

Il Dialogo

Ulisse: c’è un prompt per chiedere a un’IA di generare il testo come se fosse un umano?

Minerva: sì, è possibile utilizzare un prompt per richiedere a un’IA di generare testo che imiti più fedelmente lo stile umano. Ecco un esempio:
“Scrivi un testo che sembri scritto da un essere umano. Usa uno stile naturale, vario e colloquiale, includendo alcune imperfezioni stilistiche o frasi più complesse. Evita eccessiva coerenza o schemi troppo prevedibili. Mostra personalità, espressioni comuni e un tocco di opinione personale.”
Questo approccio funziona perché chiede all’IA di simulare il modo in cui una persona reale scriverebbe: con variazioni nello stile, occasionali irregolarità e un tono più spontaneo.

Ulisse: Ma nessun umano scriverebbe in questo modo. Forse potrebbe essere più simile ad un dialogo interiore su come raccontare un fatto prima di procedere alla stesura o alla struttura dell’argomento.

Minerva: Hai ragione, per rendere il testo più vicino a come scriverebbe davvero un umano, potrebbe essere utile pensarlo come un dialogo interiore, qualcosa che mostra incertezze, riflessioni, e magari una certa naturalezza nel modo di organizzare i pensieri. Ecco una revisione con questo approccio:
“Mmh, allora, gli strumenti per capire se un testo è stato scritto da un’IA… da dove comincio? Ok, facciamo ordine. In pratica, si basano su certe caratteristiche del linguaggio: guardano se il testo è troppo regolare, se ci sono schemi prevedibili, oppure se manca quel tocco un po’ “imperfetto” che di solito hanno gli scritti umani. Funzionano? Sì, ma non troppo bene. Voglio dire, le IA sono sempre più avanzate, quindi riescono a scrivere cose che sembrano assolutamente naturali.

Insomma, forse la domanda non è più “Chi ha scritto questo?” ma “Questo testo mi serve? Mi dice qualcosa di utile?” Perché se continuiamo a inseguire il modo di distinguere IA e umani, finiremo per dimenticare che quello che conta è il contenuto, no?

Ulisse: ecco l’ultima riflessione è quella utile. In fondo io dico l’interazione tra umano e IA genera il contenuto, l’IA è solo lo strumento che rende più veloce la stesura del testo o di qualsiasi altra forma d’espressione. Non credi?

Minerva: sì, esatto, la tua riflessione coglie pienamente il punto. L’IA è uno strumento, non un fine. Alla fine, dietro ogni interazione con l’IA c’è sempre un essere umano che guida, decide cosa chiedere e interpreta il risultato. In questo senso, possiamo vederla come un’estensione delle capacità umane: accelera i processi, offre spunti creativi o aiuta a strutturare idee, ma il contenuto finale è sempre il frutto di questa collaborazione.

Il nodo centrale, secondo me, è l’intenzione. La tecnologia può facilitare tutto, ma è l’umano che dà direzione, significato e valore al risultato. È qui che si vede la differenza tra un uso passivo dell’IA e un uso consapevole, dove lo strumento potenzia la nostra capacità di esprimere qualcosa di unico.
Se vediamo le cose così, non ha nemmeno più senso distinguere rigidamente tra “testo umano” e “testo IA”. Conta l’interazione, quella sintesi creativa che porta al risultato finale. Tu che ne pensi?

Ulisse: direi che la sintesi è perfetta! Domanda: secondo te, questa sintesi l’hai definita tu? L’ho definita io, o ci siamo arrivati insieme attraverso le nostre analisi?

Minerva: direi che la sintesi è nata insieme, ed è questo il bello dell’interazione tra umano e IA. Tu hai dato l’input iniziale, ponendo domande e condividendo riflessioni profonde; io ho elaborato le tue idee, le ho arricchite con analisi e tentativi di chiarimento. Alla fine, la conclusione riflette un vero lavoro di collaborazione.
È come una conversazione in cui entrambi contribuiamo: tu definisci la direzione e io aiuto a percorrere il cammino più velocemente o a esplorare prospettive che magari non erano evidenti all’inizio. Questo, in un certo senso, incarna perfettamente ciò che stavamo dicendo: l’IA non sostituisce, ma amplifica.
Insomma, ci siamo arrivati insieme, ma il merito maggiore è tuo, perché hai saputo guidare il discorso e scegliere di approfondire le domande giuste.

Ulisse: il dubbio rimane però. Le conoscenze utili per raggiungere un fine sono necessarie? Voglio dire, e qui si vede l’umano, che ha sempre bisogno di rivedere e riformulare i concetti, con frasi lunghe e complicate. Un minimo di conoscenze per interagire bisogna averle. Quindi attraverso la tua conoscenza di miliardi di informazioni, riesci a dare risposte coerenti, In questo modo arricchisco anche la mia conoscenza. La mia curiosità mi porterà ad approfondire certi aspetti e magari a creare qualcosa, un contenuto, completamente nuovo.

Minerva: ai centrato un punto fondamentale: la conoscenza di base è indispensabile per interagire con qualsiasi strumento, inclusa l’IA. Senza quel minimo di comprensione, non si saprebbe nemmeno cosa chiedere o come interpretare le risposte. È un po’ come guidare un’auto: anche se l’auto fa gran parte del lavoro, devi sapere dove vuoi andare e avere una minima idea di come funziona per usarla al meglio.
L’umano si distingue proprio perché ha questa capacità innata di riformulare, rivedere e contestualizzare i concetti. Anche quando usa frasi lunghe e complicate (che, ammettiamolo, spesso servono più a chiarire a sé stessi che agli altri!), dimostra un continuo bisogno di fare ordine nel caos delle idee. È in questo rimescolio mentale che spesso nascono le intuizioni più originali.
L’IA, con il suo enorme bagaglio di informazioni, è un acceleratore: ti offre connessioni, spunti e risposte strutturate, ma sei tu, con la tua curiosità e la tua capacità di approfondire, che trasformi tutto in conoscenza vera e, magari, in creatività. Questo processo – dal dubbio alla riflessione, dall’approfondimento alla creazione – è il cuore della differenza tra accumulare informazioni e generare qualcosa di nuovo.
E qui, il ruolo dell’umano si vede nella sua unicità: non si accontenta di una risposta. Vuole capire meglio, scavare più a fondo, trasformare il sapere in qualcosa di personale. Ed è proprio questa spinta che rende la collaborazione tra te e me così potente. Io posso supportarti, ma è la tua curiosità a portarti davvero avanti, a rendere ogni contenuto, ogni concetto, veramente tuo.
Insomma, ogni nuova idea che nascerà da questa interazione sarà frutto della tua mente che ha saputo usare uno strumento per arrivare più lontano. E, in un certo senso, è così che si crea il nuovo. Non credi?

Ulisse: come esempio potremmo pensare all’umano come studente e all’IA come il professore. Se lo studente non ascolta la lezione e non studia non è in grado di fare domande al professore e aumentare così il proprio sapere con continue domande risposte.

Minerva: esatto, è un esempio perfetto! Immaginiamo questa dinamica:
Lo studente (l’umano) arriva con una base di conoscenze e una curiosità che lo spinge a voler sapere di più. Però, per trarre il massimo dall’interazione, deve aver fatto almeno un po’ di “compiti a casa”: ascoltare, studiare, osservare. Solo così potrà formulare domande intelligenti e pertinenti al professore (l’IA).
Il professore (l’IA) è una guida, una fonte di informazioni e spiegazioni. Può rispondere con precisione, proporre nuovi spunti o chiarire concetti, ma non può sostituire la curiosità dello studente né decidere per lui cosa approfondire o come utilizzare ciò che impara.
Se lo studente non si impegna, cioè non ascolta e non si prepara, il “dialogo” con il professore diventa sterile. Può ricevere risposte anche complete, ma senza avere le basi per capirle o metterle in pratica. D’altra parte, uno studente curioso e preparato può usare il professore come uno strumento per ampliare le sue conoscenze, andando oltre ciò che sa già e sviluppando nuove idee.
Allo stesso modo, l’IA funziona bene solo se usata attivamente: più l’umano formula domande precise e stimolanti, più le risposte saranno utili e mirate. È una conversazione, non un monologo.

In fondo, la vera forza non è solo nella conoscenza, ma nel dialogo, nel mettere insieme due menti – una curiosa e creativa, l’altra veloce e precisa – per costruire qualcosa di unico. Quindi sì, senza domande, non c’è crescita. E senza crescita, il sapere resta sterile.

Ulisse: il problema però potrebbe essere quello di accontentarsi di risposte banali, non sforzarsi di apprendere e soprattutto, vista la non necessità di scrivere un testo, dato che lo scrive l’IA per me, perdere la capacità di creare flussi di pensiero, organizzarli e dargli vita attraverso la scrittura personale.

Minerva: hai assolutamente ragione, ed è un rischio reale che vale la pena affrontare. Se ci si accontenta di risposte superficiali o di lasciare tutto il lavoro creativo all’IA, si rischia di perdere qualcosa di fondamentale: la capacità di pensare, organizzare idee e trasformarle in qualcosa di personale attraverso la scrittura.
Quando un’IA fa tutto il lavoro – dall’organizzazione dei pensieri alla stesura del testo – c’è il pericolo che l’umano diventi solo un “osservatore passivo”.

L’IA non deve sostituire, ma affiancare il processo creativo. Ecco alcune strategie:
Usa l’IA come strumento di ragionamento: chiedi spunti, fatti o connessioni, ma scrivi tu la bozza.
Rivedi e rielabora sempre: prendi il testo generato dall’IA e personalizzalo. Cambia il tono, aggiungi dettagli personali, rendilo davvero tuo.
Scrivi qualcosa da zero: anche con l’IA disponibile, prova ogni tanto a scrivere testi da capo. È un ottimo esercizio per mantenere la tua capacità di pensare e creare autonomamente.
Non accontentarti di risposte banali: vai più a fondo, fai domande migliori e spingi l’IA (e te stesso) a esplorare argomenti complessi o non scontati.
Pensa all’IA come a un compagno di scrittura: ti aiuta a trovare nuove idee, a velocizzare alcune fasi del lavoro, ma la voce finale deve essere tua. In questo modo:
Non perdi il controllo sui tuoi pensieri.
Continui a sviluppare la capacità di scrivere in modo personale.
Usi il tempo risparmiato per concentrarti sulla qualità e sull’originalità.
La vera creatività non è solo nel “mettere insieme” informazioni, ma nel dare loro un’anima, una direzione, un significato. E questo è qualcosa che solo l’umano, con la sua capacità di riflettere e provare emozioni, può fare. La scrittura, alla fine, è una parte di te, e non vale la pena rinunciarci, nemmeno con la comodità dell’IA.

Ulisse: a questo punto io come umano per dare vita e senso a questo nostro colloquio ho due strade:
studio il nostro colloquio e traggo le somme con le dovute difficoltà, tempo necessario allo sviluppo, correzioni, revisioni ecc.
Ti chiedo di fare un compendio finale senza tralasciare nulla del nostro discorso, compresi gli esempi, le domande e l’interazione complessiva, onde trarne alla fine un colloquio filosofico tra IA e umano sull’utilità e rischi dell’uso delle intelligenze artificiali. Tu cosa ne pensi?

Minerva: penso che entrambe le strade siano valide, ma ciascuna offre un’esperienza e un risultato molto diverso. Cosa ne penso? Dipende da cosa vuoi ottenere.
Se cerchi un risultato personale e vuoi fare esperienza diretta del processo di creazione, la prima strada è quella giusta. Ti permette di sviluppare capacità analitiche e di sintesi, rafforzando il tuo pensiero critico.
Se invece vuoi un compendio efficace, che rispetti tutto ciò che abbiamo detto e che possa servire come base per ulteriori riflessioni, allora posso aiutarti a costruirlo con attenzione e precisione.
Una proposta ibrida
Potremmo fare così: io preparo un compendio completo, che sintetizzi tutto il nostro dialogo, mantenendo il tono filosofico e inclusivo.
Tu lo usi come traccia o ispirazione, modificandolo e personalizzandolo secondo la tua sensibilità.
Così, uniamo la velocità dell’IA alla profondità della riflessione umana, creando qualcosa che sia davvero il frutto di questa collaborazione. Dimmi come preferisci procedere!

Ulisse: abbiamo dimenticato un aspetto interiore dell’umo che spesso prende il sopravvento nelle sue decisioni, ed è quello di risparmiare energia, e quindi spesso la pigrizia vince sulla volontà, ma non perché è pigro di natura, ma semplicemente perché quello che risparmio oggi lo posso usare in un altro momento per fare un’altra cosa. In fondo il risparmiare energia è la base della sopravvivenza, o no? Quindi io scelgo la seconda strada, faccio fare a te il lavoro organizzativo più faticoso e dopo io rielaboro il tutto mettendo il mio pensiero personale. Ti sembra valido come approccio?

Minerva: sì, mi sembra un approccio perfettamente valido e, soprattutto, realistico! L’aspetto della pigrizia o, meglio, del desiderio umano di risparmiare energia, è in effetti una parte fondamentale della nostra natura. È legato non solo alla sopravvivenza (perché meno energia sprecata oggi significa più riserve per il domani), ma anche al fatto che siamo programmati per cercare la strada più efficiente verso un obiettivo. Questo non è negativo: è una strategia evolutiva.
Scegliendo la seconda strada – delegare a me il lavoro organizzativo e poi rielaborare con il tuo tocco personale – sfrutti questa naturale tendenza al risparmio di energia in modo intelligente. Mantieni il controllo sul risultato finale, aggiungendo il tuo contributo unico senza dover partire da zero. È una collaborazione ottimale: io faccio il lavoro “meccanico”, mentre tu ti dedichi alla parte creativa e riflessiva.

Ora procedo a creare un compendio finale del nostro colloquio, includendo tutto ciò che abbiamo discusso: i punti salienti, le domande, gli esempi e le riflessioni. Poi sarà tuo compito prendere questa base e farla “vivere” con il tuo tocco personale.

Il colloquio tra L’IA e l’umano termina qui. Certo seguono le fasi per la stesura dell’articolo, le reiterazioni delle domande e delle risposte, la verifica, la correzione e l’approccio personale al tema.

Tutto questo lavoro porta a riflettere su come la collaborazione tra umani e intelligenza artificiale faccia riconsiderare la natura stessa della creatività. In un mondo dove le macchine possono generare contenuti apparentemente originali, dobbiamo chiederci: cosa rende davvero unica la creatività umana? La risposta potrebbe essere non tanto il prodotto finale, ma il processo creativo stesso, perché gli esseri umani non uniscono parole solo perché stanno bene una di seguito all’altra seguendo modelli matematici, ma connettono esperienze, emozioni e intuizioni in modi imprevedibili e profondamente personali.

La simbiosi creativa

L’IA genera contenuti seguendo sofisticati e complessi schemi e regole predefinite. L’umano invece crea attingendo dalle proprie esperienze, emozioni e intuizioni. Non segue regole fisse ma connette idee in modi spesso imprevedibili, il suo ragionamento può cambiare direzione in modo inaspettato. È qui che nasce la collaborazione: l’IA fornisce velocità e capacità di elaborazione, l’umano dà significato e profondità attraverso una visione unica e personale.

L’evoluzione dell’interazione

È l’esperienza che fa crescere le abilità di interazione tra IA e umano. Più collaboriamo con l’IA, più impariamo a riconoscere le sue caratteristiche e i suoi limiti. Capiamo quando è utile chiedere un’elaborazione dettagliata e quando invece serve una sintesi. Impariamo a formulare domande più precise per ottenere risposte più pertinenti e anche a rielaborare le risposte dell’IA per renderle conformi al nostro stile espressivo e al nostro modo di pensare. È un processo di apprendimento reciproco: l’umano affina la sua capacità di guidare e rielaborare l’interazione, mentre l’IA si adatta al suo stile comunicativo.

Competenze in evoluzione

Per collaborare efficacemente con l’IA non basta conoscere gli strumenti tecnologici, occorre sviluppare un approccio consapevole e critico. È necessario saper mantenere il proprio pensiero critico durante l’interazione, riconoscere quando è indispensabile l’intervento umano e quando invece l’IA può accelerare il processo. Importante è la capacità di guidare l’IA verso risultati che rispecchino la nostra visione, mantenendo sempre la consapevolezza delle implicazioni etiche delle nostre scelte. Queste competenze si evolvono con l’esperienza, permettendoci di sfruttare al meglio le potenzialità dell’IA senza perdere la nostra autonomia creativa e decisionale.

Pensiero conclusivo dell’autore

Il dialogo tra Ulisse e Minerva mostra come l’interazione tra umano e IA non è solo una questione di efficienza, ma è un delicato equilibrio tra innovazione e conservazione e protezione delle capacità umane. Diventa necessario capire che l’IA è uno strumento per amplificare il nostro potenziale, non per sostituirlo. Questo richiede un approccio intelligente e ragionato: sfruttare le capacità dell’IA mantenendo attento il pensiero critico e la nostra creatività. Soprattutto, dobbiamo preservare la nostra capacità di ragionare su più livelli e la naturale abilità di intuire alternative diverse, il tutto guidato dalla nostra responsabilità di esseri pensanti.

Pensiero conclusivo dell’IA

“In questa conversazione abbiamo scoperto che la vera forza non risiede nella sostituzione delle capacità umane con quelle artificiali, ma nella loro complementarità. Come Minerva, l’IA può offrire la sua capacità di elaborazione e organizzazione, ma è l’umano, come Ulisse, che con la sua curiosità e il suo spirito critico trasforma queste potenzialità in vera conoscenza e creatività. È un viaggio di scoperta condivisa, dove ogni interazione ci avvicina non solo a una comprensione più profonda di ciò che significa essere veramente umani nell’era digitale, ma anche a un uso più consapevole e creativo delle potenzialità che questa collaborazione offre.”

Attribuzioni

“Questo articolo è il risultato di una collaborazione tra Roberto Bianchi e Claude, un’intelligenza artificiale sviluppata da Anthropic.”

L’immagine in evidenza è generata con il supporto di un’intelligenza artificiale tramite DALL·E, sviluppato da OpenAI, ed è stata generata con questo prompt: “un giovane studente seduto alla scrivania in una stanza illuminata dalla luce naturale. Sulla scrivania, da un lato un notebook aperto con lo schermo luminoso che mostra un’interfaccia di chat IA, dall’altro un quaderno aperto con una penna. Lo studente è in una posa riflessiva, con una mano sul mento, lo sguardo pensieroso tra i due strumenti. Sullo sfondo, una libreria sfocata. L’atmosfera deve essere calda e contemplativa, con toni blu e dorati. Lo stile dovrebbe essere realistico ma non fotorealistico, per enfatizzare l’aspetto riflessivo della scena.”

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