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Il Fascismo in Italia dopo il 1927

Tra il 1924 e il 1926 Mussolini subì diversi attentati alla sua persona, cosa che fece scattare la necessità di una riforma legale a tutela del DUCE (il condottiero, dal latino dux; in tedesco, il Fuhrer).

Nel 1926 furono proibiti gli scioperi a tutti i sindacati che non fossero fascisti; furono poi sciolti tutti i partiti antifascisti, chiusi giornali e pubblicazioni non di regime, fatti decadere dal mandato i deputati che avevano partecipato alla secessione dell’Aventino, alla fine del 1924 (ovvero coloro che appartenevano ai partiti comunista e socialista). Il partito Popolare era già stato ridotto al silenzio nel 1923, dopo che la Chiesa impose a don Luigi Sturzo, noto antifascista, di abbandonare la segreteria di quel partito.

Venne anche reintrodotta la pena di morte contro i cospiratori dello stato, coloro che volevano abbattere Mussolini; costoro venivano processati di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Queste erano, in sostanza, le leggi Fascistissime.

Nel 1928 il sistema maggioritario di voto passò al sistema a lista unica, tutta fascista e il Gran Consiglio del Fascismo, fondato da Mussolini non appena al potere (1922), divenne organo di Stato, superiore al Parlamento, reso organo solo di consultazione, privo di potere legislativo. Il Gran Consiglio elaborava le liste elettorali uniche e deliberava in merito alle decisioni adottate dal Duce.

Mussolini rese il Fascismo un fatto di Stato: utilizzò i Prefetti per controllare il territorio, sostituì i sindaci con i Podestà e soprattutto volle penetrare la società italiana con l’organizzazione del tempo di lavoro e di libertà degli italiani.

Per questo motivo, sorsero numerose organizzazioni per i giovani (Fasci Giovanili, Gruppi Universitari Fascisti) e l’organizzazione dei Balilla per i ragazzi dai 12 ai 18 anni. Tutti raggruppamenti di persone che tentavano, mentre i ragazzi stavano insieme, magari al sabato fascista, di dare loro un’educazione militaresca, fondata sull’educazione del fisico, e una serie di precetti e di norme che insegnassero loro a rispettare il Duce.

Perché il Fascismo italiano fu un “Totalitarismo imperfetto”?

In Italia, Mussolini incontrò una serie di ostacoli per realizzare uno stato autenticamente tirannico. Se la stragrande maggioranza degli italiani era sottomessa (e gli antifascisti erano uccisi, percossi, esiliati o mandati al confino, in località fuori mano, perché non potessero nuocere al regime), due personalità, nel paese, non avrebbero mai potuto subire passivamente le decisioni del Duce. Vediamo chi erano costoro.

L’ostacolo più forte che Mussolini affrontò per fascistizzare l’Italia fu la Chiesa: nonostante Pio XI avesse sostenuto il Fascismo tra il 1923-24, la Chiesa era l’istituzione più radicata sul territorio e aveva punti di aggregazione molto frequentati (come gli oratori), in grado di competere per capillarità con le organizzazioni fasciste.

Per evitare uno scontro diretto con la principale autorità religiosa del paese (il 99% degli italiani si professava cattolico, all’epoca), il Duce stipulò nel 1929 i Patti Lateranensi con il Vaticano. Grazie a questo concordato Mussolini versava al Papa un indennizzo per la presa di Roma del 1870, riconosceva come stato estero la Città del Vaticano e concordava i rapporti Stato-Chiesa, facendo del cattolicesimo la religione di Stato per l’Italia, impegnandosi a diffonderne l’insegnamento nelle scuole; inoltre lo Stato avrebbe tolto i diritti civili ai preti spretati.

Altro problema che Hitler non ebbe (dal 1934 era morto Hindenburg e lui cumulò le cariche di cancelliere e di capo di Stato), era la monarchia dei Savoia, molto onorata e rispettata, nella persona di Re Vittorio Emanuele III: egli non era affatto sottomesso a Mussolini, dato che, a norma della costituzione all’epoca in vigore (lo Statuto Albertino), gli spettava il controllo sull’esercito e la possibilità di sostituire il Primo Ministro (cosa che poi avvenne effettivamente il 25 luglio 1943, dopo lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia).

L’economia italiana durante il Fascismo (1924-1940)

Negli anni ’30, pur a fronte di carenze di materie prime e di ritardo industriale, l’Italia arricchì il comparto industriale, sottraendo lavoratori a quello agricolo. Ciò, per quanto segno di innegabile progresso, non rese l’Italia un vero e proprio paese industriale allineato alle economie più forti dell’occidente: nel 1938 circolavano nella penisola 1 auto per 100 abitanti, mentre in Francia e GB il rapporto era di 1 a 20.

Gradualmente, i salari decrebbero e compressero i consumi alimentari, che negli anni ’30 rappresentavano circa il 50% delle spese di una famiglia media.

Negli anni ’30 prese piede anche la politica dell’Autarchia (bastare a se stessi): una politica economica che illuse gli italiani di poter fare a meno delle importazioni, basandosi solo sulla produzione interna di beni di consumo. Dal 1925, così, il Fascismo, che era partito con prospettive liberiste a livello economico, divenne protezionista, ripristinando i dazi sulle merci importate. Simboli di questo regime autarchico, la battaglia del grano, per l’autosufficienza della produzione italiana e la rivalutazione della lira sulle altre monete europee, cosa che tolse appetibilità ai prodotti di maggior qualità o livello tecnologico ma diede una spinta alla aziende che lavoravano solo per il mercato italiano.

La società fascista

Il fascismo si connotò per il suo modo di gestire la società tradizionalista: la donna era il centro della famiglia, bisognava fare figli per accrescere il numero dei futuri combattenti, furono inserite tasse sui celibi e fu vietato progressivamente il lavoro femminile. Vennero creati enti appositi per sostenere le madri che decidevano di allargare le loro famiglie: una di esse era l’OMNI, opera maternità nazionale infanzia, che forniva servizi come gli asili alle giovani donne con prole.

Chi amò di più il Fascismo, negli anni ’30, fu la piccola borghesia, che iniziò a poter fare carriera iscrivendosi nelle fila del partito nazionale fascista, credendo nel nazionalismo del Duce, nell’ordine e nella gerarchia. Da loro, il mito dei treni che arrivavano in orario, “quando c’era lui”.

Dal 1927 iniziarono le trasmissioni radio dell’EIAR (poi RAI); il cinema venne utilizzato come strumento prediletto di propaganda ideologica. Per questo nacquero, a Roma, i teatri di posa di Cinecittà.

La politica estera, le leggi razziali e le conquiste territoriali del fascismo negli anni ’30

Tre grandi eventi riguardarono il regime di Mussolini negli anni ’30: la presa dell’Etiopia nel 1935-36, il patto di amicizia con Hitler del 1936, chiamato “Asse Roma-Berlino” (trasformatosi poi nel famigerato Asse del 1939), e la presa dell’Albania nel 1939.

Nel 1938 il regime introdusse, una sorta di omaggio alle Leggi di Norimberga del 1935 di Hitler, le leggi razziali antiebraiche. Esse vennero approvate dopo un lungo dibattito nato e fomentato dalla rivista La difesa della razza.

Questo articolo riassume le pp. 118-127 del libro di storia delle classi quinte.

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