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Caratteristiche, valori e contenuti del Crepuscolarismo poetico

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In Italia, durante i primi quindici anni del Novecento, abbiamo la nascita di due importanti movimenti letterari e artistici. Il primo, di carattere conservatore, è il Crepuscolarismo; il secondo, molto più innovatore, è il Futurismo.

Entrambi i movimenti poetici nascono come reazione all’Ottocento e al Positivismo borghese: i poeti crepuscolari (Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti) sono letterati vicini allo spirito di Baudelaire, letterati che vogliono allontanarsi in tutto e per tutto dal maggiore scrittore di versi italiano del periodo, D’Annunzio.

Per farlo, prendono in giro il pensiero dannunziano, capovolgendo i temi delle sue opere e usando un linguaggio quotidiano, esattamente opposto rispetto al linguaggio aulico utilizzato dal poeta autore di Alcyone (anche se poi, prendendone in giro le tematiche, si servono a piene mani del suo vocabolario poetico).

I Crespuscolari devono la loro definizione al critico letterario de La Stampa, Giuseppe Antonio Borgese. Egli li definì poeti che si facevano avanti mentre stavano calando le ombre della notte sul periodo del Romanticismo: sono dunque i poeti che chiudono la porta della stagione dell’Io poetico, della riflessione sui grandi temi dell’interiorità ottocentesca.

Come abbiamo visto, i valori in cui credono i crepuscolari sono l’esatto opposto dei valori dannunziani. D’Annunzio credeva nel Superuomo, nella fine della morale antica, nella Parola che crea un nuovo mondo, nella bella vita, nelle donne affascinanti. I crepuscolari parlano invece nelle loro poesie di insuccessi, di piccole cose, di mediocrità, di donne bruttine (Gozzano le chiama “signorine”), di un mondo di provincia. I crepuscolari non credono, come invece accadeva a D’Annunzio, di poter pronunciare parole definitive, di assoluta verità. Gozzano, Corazzini, Moretti sono persone malate (di solito di tubercolosi), timorose dei rapporti sociali, chiuse e introverse, malinconiche.

Il loro linguaggio è spoglio, dimesso, senza fronzoli, quotidiano. Si parla di giovani donne, che magari fanno le serve o le sartine, di quotidianità (i caffè di Torino in cui le persone gustano i pasticcini), di uomini sconfitti (il cui comportamento è esattamente l’opposto del Superuomo di D’Annunzio, come Totò Merumeni, ovvero il “punitore di se stesso”).

Tutti i crepuscolari soffrono di inutilità esistenziale: perché vivere, se sono capace solo di scrivere? E’ un pensiero molto malinconico, figlio del modo di pensare di Petrarca. Che però non ha altre risposte se non la letteratura…

Che cosa mi fa star male? La scrittura! Che cosa potrebbe darmi un po’ di sollievo nella vita? La poesia! Davanti a questo bivio, che non ha soluzione, nasce il male di vivere dei crepuscolari. La letteratura li rende “inetti”, incapaci a vivere la vita quotidiana, ma allo stesso tempo non possono smettere di scrivere per non precipitare nella completa depressione spirituale.

Metricamente, essi scelgono versi lunghi (come il doppio settenario – 14 sillabe per verso – in Totò Merumeni di Gozzano) per parlare delle loro situazioni fallimentari, della loro inutilità esistenziale, con un ritmo espositivo molto lungo e pieno di particolari.

(N.B.: questa sintesi viene pubblicata per favorire lo studio individuale in questi tempi di chiusura forzata delle scuole; tutti i temi trattati in questi appunti si trovano alle pagine 365-367, 376 e 383-385 dell’antologia di italiano delle classi quinte. E’ possibile ascoltare la spiegazione del docente cliccando su questo file audio)

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