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3- Luigi Pirandello: le novelle e il teatro

La produzione letteraria di Pirandello non si esaurisce solo nella scrittura di romanzi, ma è anche molto ricca di novelle, più o meno brevi, e di testi destinati alla rappresentazione in teatro.

Le novelle, i racconti, molti dei quali pubblicati sul quotidiano Il corriere della sera, sono in totale 256 e vengono raccolti in una serie di volumi compilati tra il 1922 e il 1937 (alcuni escono postumi). Anche in queste opere, Pirandello si concentra moltissimo sull’errore, su quanto la ragione sia insufficiente a spiegare la realtà, negando a quest’ultima un valore oggettivo, lineare e di unicità. La realtà è mutevole, non si lascia penetrare dallo sguardo della ragionevolezza. Solo il caos trionfa, nonostante l’uomo cerchi in ogni modo di limitarlo. Per questo, ogni novella tratta di casi senza senso, pieni di umorismo (sentimento del contrario), da cui nasce una nuova visione della realtà. Tutto sembra molto realistico, ma il punto di vista è sempre soggettivo (del personaggio/autore), E’ una narrativa che spiazza, che fa vedere la solitudine dell’uomo moderno e la sua totale incapacità a fronteggiarla, senza valori forti e senza un Dio a cui rivolgersi.

Una delle novelle più interessanti è La patente (ne puoi seguire la spiegazione anche in questo file mp3), nella quale si racconta l’assurdo caso di Chiàrchiaro (altro nome simbolico: che cosa c’è di chiaro nella vita, addirittura due volte? Nulla!). Egli è da tutti ritenuto portatore di sventura: basta la sua presenza fisica a far succedere qualcosa di spiacevole o di brutto. Per questo motivo, nessuno vuole sposare le sue figlie, e lui, oltre a mantenere loro, deve anche badare ad una moglie paralitica: non può trovare alcun lavoro per la sua fama; è sul lastrico e dunque si inventa un lavoro.

Dato che è noto che porta sfortuna, vuole lucrare su questa qualità, facendosi pagare dai negozianti perché si sposti accanto al negozio del loro concorrente per portargli male. Ma non vuole farlo senza le referenze. Per questo intende procurarsi un titolo di Stato, una laurea da iettatore: Chiàrchiaro denuncia due persone, importanti, che quando lo vedono fanno le corna. Vuole essere condannato dal tribunale come iettatore, come portasfortuna, così potrà lavorare a modo suo munito di patente professionale. Notevole l’interpretazione che dà di Chiàrchiaro Totò, nel film Questa è la vita del 1954. (La novella è alle pp. 528-533 dell’antologia di quinta)

I lavori novellistici, i racconti, sovente vengono riscritti più volte e forniscono materiale per la scrittura teatrale. In queste opere (soprattutto in Sei personaggi in cerca d’autore del 1921, in Enrico IV del 1922 e nell’opera incompiuta I giganti della montagna del 1934) si assiste al capovolgimento della struttura classica della rappresentazione teatrale. Nella prima opera, sono sei i personaggi che vorrebbero avere un corpo, una maschera da impersonare sulla scena, ma non possono farlo perché nessuno ha scritto loro un copione che possano recitare. Vanno in teatro e chiedono di parlare al capocomico (il regista che sta provando). Qui di seguito la spiegazione in file mp3.

Quando lui li riceve, gli chiedono una “forma”, una scrittura che fissi le loro storie e dia loro vita, permettendo a questi personaggi di mettere in scena ciò che hanno vissuto dentro di sé e che non può essere rappresentato, perché i personaggi non sono vivi sino a quando non hanno parole da recitare sul palcoscenico. I personaggi sono Il Padre, La Madre, La Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina. Il Padre è stato sposato con La Madre e ha avuto da lei il Figlio. In seguito, i due si sono lasciati e La Madre si è messa con il segretario del marito, da cui ha avuto la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Quando il segretario muore, la Madre torna al paese di origine e si impiega presso una sartoria che è una casa di appuntamenti. Lì lavora come prostituta anche la Figliastra. Una sera, si presenta al casino il Padre: solo per un caso egli eviterà di avere un rapporto con La Figliastra. Il Padre riporta tutti sotto il suo tetto, ma ormai la situazione è insostenibile: La Figliastra lo odia, il Figlio non vuole avere alcuna relazione con persone di così basso livello, La Madre viene rifiutata dal primo Figlio.

Però, per assurdo, quando dovranno portare in scena questa trama (che il capocomico ha scritto per loro, lasciandosi convincere dalle loro richieste), i sei personaggi si rifiutano: la scrittura li ingabbia in una forma, non è più vita vera quella che dovrebbero recitare. Il capocomico non ci capisce più nulla: ha scritto ciò che loro volevano, ma i personaggi non vogliono più rappresentarlo in teatro.

E’ una storia irreale, eccessiva, non può essere rappresentata, con tutto il suo dolore. Anche il capocomico allora decide di diventare pubblico, di assistere a quello che capita sulla scena. La rappresentazione termina in modo tragico: La Bambina muore affogata perché il Giovinetto non ha badato molto a lei. Trovato il cadavere, il Giovinetto si spara per il rimorso. In quel momento la Figliastra ride sonoramente. Che cosa è capitato? E’ stata realtà o è stata solo una rappresentazione, fuori da ogni realtà? Il dubbio rimane e l’opera si conclude con i personaggi che cercano un altro capocomico per farsi mettere in scena. (la lettura dell’inizio dell’opera è alle pp. 573-579 sull’antologia di quinta)

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