1-L’influenza sulla narrativa contemporanea dei romanzi veristi: Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga (1889) e I Leoni di Sicilia di Stefania Auci (2019)
Quando si parla di letteratura, si pensa che ciò che è antico sia inutile, o soltanto noioso, per i tempi in cui viviamo. Di solito non è mai così, quando si parla di capolavori. Chi scrive, di solito, lo fa ispirandosi a grandi autori passati, alle loro idee migliori, ai loro valori. Per quanto utilizzi un linguaggio e una sintassi più vicina a noi, la trama di un romanzo contemporaneo è sovente imbevuta di riferimenti a chi lo ha preceduto. Lo si può notare anche in due romanzi che, per data di composizione e uscita, sembrano appartenere a due mondi distinti. Sembrano, appunto.
Uno dei romanzi più classici della letteratura italiana del tardo Ottocento, Mastro Don Gesualdo, secondo volume del “Ciclo dei vinti” (elaborato da Giovanni Verga durante il periodo verista, tra il 1887 e il 1889, utilizzando a piene mani la lingua e la descrizione delle condizioni di vita del popolo siciliano), è infatti servito come modello per uno dei best seller dell’estate 2019, I leoni di Sicilia, romanzo storico che la docente e scrittrice siciliana Stefania Auci ha dedicato alla saga della dinastia dei Florio (commercianti e viticoltori originari di Bagnara Calabra poi trasferitisi a Palermo). La storia di Mastro don Gesualdo è quella di un arricchito. Nato da umili origini (era un muratore), egli inghiotte rabbia e umiliazioni per qualche tempo. Grazie alla sua intelligenza e capacità di osservazione, però, riesce a fare fortuna; capisce infatti come il mondo dei nobili siciliani sia, subito dopo il periodo dell’Unità d’Italia, costruito da una onorabilità di facciata e da una realtà di povertà sempre più evidente. Per salire nella scala sociale, Gesualdo decide di contrarre matrimonio con Bianca Trao, ragazza chiacchierata per il suo legame amoroso con il cugino Ninì. Lei e la sua famiglia sono stati rovinati dalle eccessive spese e non hanno più altra ricchezza del loro palazzo, cadente, e del loro titolo nobiliare, che sarà portato in dote a Gesualdo come unica ricchezza superstite della famiglia Trao. Verga ci descrive la situazione in questa scena, ad inizio romanzo (notare soprattutto le parti in grassetto):
― Sì, sì, ― rispose questi sottovoce. ― Il barone Zacco sta per vendere a minor prezzo. Però mastro-don Gesualdo ancora non ne sa nulla. ― Ah! s’è messo anche a fare il negoziante di grano, mastro-don Gesualdo? Non lo fa più il muratore? ― Fa un po’ di tutto, quel diavolo! Dicesi pure che vuol concorrere all’asta per la gabella delle terre comunali… La baronessa allora sgranò gli occhi: ― Le terre del cugino Zacco?… Le gabelle che da cinquant’anni si passano in mano di padre in figlio?… È una bricconata! ― Non dico di no; non dico di no. Oggi non si ha più riguardo a nessuno. Dicono che chi ha più denari, quello ha ragione… Allora si rivolse verso don Diego, con grande enfasi, pigliandosela coi tempi nuovi: ― Adesso non c’è altro Dio! Un galantuomo alle volte… oppure una ragazza ch’è nata di buona famiglia… Ebbene non hanno fortuna! Invece uno venuto dal nulla… uno come mastro-don Gesualdo, per esempio!… Il canonico riprese a dire come in aria di mistero parlando piano con la baronessa e don Diego Trao sputacchiando di qua e di là: ― Ha la testa fine quel mastro-don Gesualdo! Si farà ricco ve lo dico io! Sarebbe un marito eccellente per una ragazza a modo… come ce ne son tante che non hanno molta dote. Mastro Lio stavolta se ne andava davvero. ― Dunque signora baronessa, posso venire a caricare il grano? ― La baronessa, tornata di buon umore, rispose: ― Sì ma sapete come dice l’oste? Qui si mangia e qui si beve; senza denari non ci venire. ― Pronti e contanti, signora baronessa. Grazie a Dio vedrete che saremo puntuali. ― Se ve l’avevo detto! ― esclamò Giacalone ansando sul vaglio. ― È mastro-don Gesualdo! Il canonico fece un altro segno d’intelligenza alla baronessa, e dopo che Pirtuso se ne fu andato, le disse: ― Sapete cosa ho pensato? di concorrere pure all’asta vossignoria, insieme a qualchedun altro… ci starei anch’io… ― No, no, ho troppa carne al fuoco!… Poi non vorrei fare uno sgarbo al cugino Zacco! Sapete bene… Siamo nel mondo… Abbiamo bisogna alle volte l’uno dell’altro. ― Intendo… mettere avanti un altro… mastro-don Gesualdo Motta, per esempio. Un capitaluccio lo ha; lo so di sicuro… Vossignoria darebbe l’appoggio del nome… Si potrebbe combinare una società fra di noi tre…