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1-Biografia e opere principali di Luigi Pirandello (1867-1936): la giovinezza

Nasce ad Agrigento, in provincia, da famiglia agiata di possessori di zolfare ovvero di miniere di zolfo; si forma a Palermo e a Roma; si laureerà a Bonn, in Germania, con una tesi sul dialetto agrigentino, segno del suo legame fortissimo con la terra d’origine.

Nel 1903 le miniere di famiglia saranno allagate e lui subirà un duro colpo economico, dovendo impegnarsi nell’insegnamento universitario per sopravvivere. Per ottenere una cattedra, scriverà il saggio sull’Umorismo nel 1908, secondo il quale “L’umorismo è il sentimento del contrario”.

Ciò significa che il riso sanziona uno scarto rispetto al mondo come ce lo siamo immaginato, al mondo che ci sembra “vero”: l’imprevisto, la buccia di banana su cui scivoliamo, ci fanno ridere perché non ci aspettavamo che le cose andassero a quel modo. Essi contraddicono la nostra idea di “Verità”.

Se il riso rimane fine a se stesso, però, non ci fa pensare ulteriormente alla situazione ridicola, esso è simbolo della comicità; se invece il riso provoca una riflessione, ci costringe a tornare ad approfondire i motivi per cui abbiamo riso (dopo una caduta inizialmente ridicola, ad esempio, chiediamo a chi è a terra se sta bene): esso produce umorismo. Altro caso, molto caro a Pirandello, è quello di una donna di mezz’età che si trucca e veste come una diciottenne. Fa ridere tutti, ma il motivo che la spinge ad abbigliarsi così è serio: teme di perdere il marito, per cui accetta convenzioni che non dovrebbe più accettare, pur di non essere lasciata.

Dal 1909 Pirandello scrive per il quotidiano Il corriere della sera, una serie di novelle, che confluiranno nella raccolta Novelle per un anno. Al 1921 risale invece la sua opera teatrale più importante, Sei personaggi in cerca d’autore.

Pirandello rimarrà sempre un “siciliano”, a causa delle idee tradite di progresso e di miglioramento del sud, più volte bandite da Roma ma mai davvero messe in pratica.

Egli vive la crisi del Positivismo in modo radicale: arriverà a negare la conoscenza scientifica a tal punto da negare che esistano valori universali, condivisi da tutti.

Valori ricorrenti nella sua scrittura:

-Relativismo (tutto è soggettivo, nulla ha il potere di essere eterno, di durare per sempre e per tutti)

-Soggettivismo (solo il soggetto costruisce la propria realtà che, essendo del singolo, non è universale, valida per tutti)

-Umorismo (ciò che fa ridere è un’infrazione allo scorrimento ordinato del reale, lo spezza: noi ridiamo solo perché avviene quest’infrazione, non per il gesto in sé).

Egli non crede che l’uomo abbia una sola personalità, ma che ne abbia tante quante sono le situazioni in cui si trova a vivere (influsso dello psicologo Alfred Binet, di cui egli aveva letto qualche saggio a causa della malattia mentale di cui soffriva la moglie, sposata nel 1894).

La verità, dunque, non esiste. Esiste solo la realtà, che noi affrontiamo, per motivi di comodo, perché così siamo meglio riconoscibili dagli altri, usando una MASCHERA.

Appena ce la strappiamo (o qualcun altro lo fa), precipitiamo nella FOLLIA, perdiamo la nostra possibilità di essere riconosciuti dagli altri e diventiamo diversi, non omologati, senza senso sociale.

I principali romanzi che egli scrive durante la fase giovanile della sua esistenza sono:

L’esclusa (1893)

Il turno (1895)

Il fu Mattia Pascal  (1904)

I vecchi e i giovani (1909)

Il fu Mattia Pascal è sicuramente il testo che porta Pirandello alla ribalta, nel modo letterario italiano di primo Novecento, sino ad allora pervaso dal dannunzianesimo, dal simbolismo e dai romanzi storici.

Esso tratta la storia di un bibliotecario, Mattia Pascal di Miragno (paese ligure di fantasia), uomo e marito mediocre, vessato dalla suocera che non gli perdona di aver sposato la figlia Romilda, che non ha un vero futuro, al di fuori della tutela dei libri lasciati al paese da un monsignore.

Stanco di queste continue prese in giro, va a giocare in un casinò e per caso vince una bella somma. Quando sta facendo ritorno, in treno, al paese ligure in cui vive, legge su di un giornale lasciato su un sedile che, nel suo comune, è stato trovato morto un uomo che gli corrisponde fisicamente e che tutti credono sia Mattia Pascal. Se Mattia Pascal è morto, allora il nuovo Mattia Pascal può tentare di vivere una vita nuova, altra, diversa da quella di prima, modificando tutto.

Prosegue il suo viaggio sino a Roma, dove si stabilirà in casa Paleari e acquisendo il nome di Adriano Meis. In quella casa conoscerà Adriana, di cui si innamorerà, ricambiato. Il loro amore non potrà trovare compimento perché Adriano è una creatura di fantasia: vive sicuramente nella vita, ma non è mai esistito, non ha la carta di identità, i documenti, che lo attestino in vita (manifestazione dell’umorismo pirandelliano).

Per tornare ad essere se stesso, Mattia Pascal fingerà il suicidio in riva al Tevere di Adriano Meis e tornerà in Liguria. Lì troverà tutto cambiato: la moglie si è risposata ed ha già una bambina, il paese non lo riconosce più. L’unico posto accogliente sarà la sua biblioteca, dove tornerà a lavorare, perché anche egli, come i libri che custodisce, è ormai una persona di carta. L’unica azione permessagli, molto umoristica (cioé molto controversa, molto da ripensare) è il portare al cimitero i fiori sulla “sua” tomba (ovvero sulla tomba dello sconosciuto che tutti pensavano fosse lui sino a poco tempo prima), sulla lapide del “fu Mattia Pascal”.

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