L’esperienza al Jumarre in soggettiva

Svegliarmi proprio oggi con un inizio di mal di testa non è il massimo. Va beh, lo ignoro. Magari se ne va. Arrivo in classe e ci sono tutti, incredibile. Cioè, sì, ci sono cinque assenti, ma lo sapevamo che non sarebbero venuti. Ho provato a convincerli, alcuni mi hanno fatto credere che sarebbero venuti, ma poi “dimenticavano” l’autorizzazione a casa. Chissà perché. Ognuno avrà avuto le sue motivazioni, ma un po’ mi dispiace.

Insomma si parte e la cosa buffa è che io, sul pulmino della scuola, ho dodici alunni e nessuno della mia classe. Il mal di testa, dato che faccio finta di niente, chiama in aiuto il mal d’auto e una nausea potente mi accompagna per tutto il viaggio. Per fortuna i ragazzini, dietro di me, si comportano abbastanza bene. Oddìo, dipende dai punti di vista. Se sto ad ascoltare i discorsi e il loro modo di scherzare mi viene da pensare che hanno solo tre anni in più dei miei bambini eppure riescono a farmi arrossire. Arrossire. Io. Non so se mi spiego. Decido di far finta di non sentire. Meglio non interferire troppo in un momento che, tutto sommato, è solo loro, finché non fanno del male a nessuno.

Appena arrivati l’aria fresca mi fa un gran bene. La tappa a pochi minuti dall’arrivo per un TIR bloccato in una curva mi fa venire voglia di continuare a piedi e non risalire sul pulmino. Mi faccio forza e poco dopo siamo arrivati davvero.
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Il rifugio si presenta bene, dentro e fuori, e mi viene subito voglia di prenderlo in considerazione per una gita o un piccolo soggiorno di famiglia.

Alessandro e Giulia, i nostri animatori di oggi, accolgono Antonietta, Gennaro e me per un briefing, un caffè ed una fetta di ottima torta mentre i ragazzi pascolano lì intorno, tra un selfie col panorama mozzafiato e un “tutto ok, siamo arrivati” a mamma.

Raccogliamo i cellulari. Provano ad opporsi ma non hanno scelta. Salire in montagna, camminare, stare con gli altri, godersi il panorama, tutto senza cellulare. Dev’essere un’esperienza del tutto nuova per loro.

Ci avviamo a piedi verso l’alto, Antonietta in testa, Gennaro ed io in coda. J. mi dice che non voleva venire. L’ha obbligata la mamma. Mi comunica anche di non avere le calze. In montagna senza calze?!? “Prof, a me la montagna non piace. A me piace il mare.” Va bene J, ti piace il mare, ma ora sei qui. Guardati intorno, guarda che colori ha la montagna in questo periodo. Cerca di fotografarla con la mente, dato che non hai il cellulare. Le nuvole basse ci nascondono le cime dei monti che ci circondano, ma i pendii lì intorno sono davvero spettacolari. Macchie gialle, arancioni, rosse, bordeaux, marroni e qualche spruzzatina di verde scuro distribuite dalla sapiente mano di Madre Natura. Come fanno a non gioire di tanta meraviglia? Riescono a riconoscere la bellezza solo attraverso lo schermo di uno smartphone? No, non tutti. Qualcuno mi si affianca per dirmi: “Ha visto che bello, prof?” e il cuore mi si scalda e il calore raggiunge la punta del naso infreddolito.

Arriviamo ad un pianoro dove l’erba è bassa e fitta, sembra quasi una morbida moquette. Le due classi si dividono. Giulia ci fa mettere in cerchio ed alcuni non resistono alla tentazione di sedersi.
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Allora tutti giù, ma l’erba è più che umida e senza il filtro di una giacca a vento avremo tutti il fondo dei pantaloni bagnato a breve. Non importa. Siamo curiosi ed impazienti.

Giulia si era raccomandata con noi insegnanti di intervenire il meno possibile. Parto con le migliori intenzioni, giuro. Ci spiega perché il cerchio, cosa si aspetta e cosa chiede ai ragazzi. Venti, tra ragazze e ragazzi. Ma ne bastano tre o quattro che non riescono a tacere, a tenere per sé i mille commenti, che non sanno smettere di tirarsi legnetti o stuzzicarsi. Io friggo. Non devo intervenire, non devo intervenire, non devo intervenire…. Mi sposto però di qui e di là, vicino a chi ha più bisogno di una carezza, di essere preso sottobraccio, di uno sguardo truce, per ricordarsi le consegne. Ad un certo punto mi scappa un “ritenetevi tutti minacciati”

Che poi le cose le fanno. Si mettono in gioco, ci provano, hanno voglia. Rifletto con Gennaro che è la nostra generazione in torto. Siamo noi che non abbiamo saputo educarli meglio di così.

E in fondo, anche così, non sono affatto male. Certo sono dispersivi, stancanti, un po’ frustranti. Ma per uno che non sa starsene zitto che ne sono altri quattro che gli dicono di smetterla perché vogliono esserci davvero.

La prima cosa sono le presentazioni. Ognuno deve dire il proprio nome e qualcosa che lo caratterizzi o qualcosa di emergente in quel momento o qualcosa che lo faccia ricordare. Alla fine tutti dicono perché hanno scelto questa scuola e pochi vanno oltre. Peccato. Io speravo di conoscerli meglio, di riuscire a memorizzare i loro nomi e le loro facce anche grazie a questo, giacché sono fortemente limitata: pare si chiami prosopagnosia . Il fatto che Giulia riesca a ricordarseli al primo colpo per me è magia…

La seconda attività è molto molto interessante.
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I ragazzi vengono divisi in coppie. Ma io volevo stare con lui, lei voleva stare con me…. No, ragazzi le coppie sono casuali. Ok, ci sta. Uno dei due viene bendato, l’altro deve guidarlo, possibilmente senza “comandi vocali” sul terreno irregolare e scosceso della montagna.
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Quasi tutti sono entusiasti e per la maggior parte è un gioco divertente. Una ragazza dice che non se la sente, ma poi lo fa, la curiosità vince. Un’altra comincia a farlo ma poi viene colta dal panico. Il gruppo è talmente entusiasta che chiede di farlo ancora e questa volta lo fanno con un partner a scelta. Provo anche io. Facile guidare con calma e pazienza la mia “affidata”, soprattutto dopo aver visto gli errori degli altri per poter aggiustare il tiro. Ma poi tocca a me essere bendata.
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Che strana sensazione doversi affidare. All’inizio faccio fatica a lasciarmi andare ma poi scopro la bella sensazione di fidarmi ciecamente, è il caso di dire,
di un’altra persona e non un adulto, ma una ragazzina che, normalmente, dovrebbe affidarsi a me.
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La restituzione di questa esperienza non va nel profondo come speravo. Questi ragazzetti, sempre colpa nostra, sono poco abituati a guardarsi dentro, a dare un nome alle loro emozioni, ad esplorare i loro sentimenti a descrivere ciò che provano. Però ci provano e qualcosa esce.

L’attività successiva, invece, è una rivelazione. Alla classe viene chiesto di superare una prova, poi di trovare insieme una strategia per migliorare la stessa prestazione. La prova consiste nel passarsi una palla senza farla cadere, ricominciando dall’inizio ogni volta che la palla cade o viene passata senza essere stata presa in mano, seguendo sempre la stessa sequenza. Poi la cosa deve essere fatta con un tempo sempre più rapido: da 30 secondi ad 8. E qui i giovincelli mi stupiscono: io sto pensando alla mia strategia ma quando vedo la loro penso che quella sia decisamente migliore.
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Ok, ma come sono giunti ad una decisione? Rispondere a questo fa parte del lavoro successivo. “S. ha avuto l’idea e tutti l’abbiamo messa in pratica. Qualcuno non aveva nemmeno sentito l’idea, ma si è accodato a quello che facevano gli altri.” Cioè: così funziona un leader carismatico.

È ora di pranzo. Torniamo al rifugio, mentre le nuvole si abbassano ancora. Per
img_20161024_130726-1-e1477925312250 ò non piove e tanto ci basta. Ci godiamo il calduccio che c’è dentro, ci mangiamo i nostri panini e i ragazzi rientrano finalmente in possesso dei
loro cellulari. Noto che l’altra classe, nella pausa pranzo, sta girando dei video in stile Grande Fratello della TV, improvvisando confessionali e parlando ad un invisibile ma presentissimo pubblico differito. Io mi concedo un altro caffè in onore del mal di testa latente…

Dopo pranzo l’attività si svolge nella yurta, un tendone tipo circo, calda ed accogliente. Le mie due paia di calzettoni antiscivolo in più vengono apprezzate, anche da chi diceva di non averne bisogno. L’ambiente invita allo svacco e risulta difficile riuscire ad ottenere un cerchio di persone reattive e partecipi. Anche Giulia sembra aver quasi esaurito le sue apparentemente infinite scorte di pazienza.

Un’altra missione per il nostro gruppo. A guardare da fuori sembra facile al limite del banale, ma Giulia mi assicura
img_20161024_141726-1-e1477925186745 per averlo provato in prima persona che non lo è affatto: si tratta di mettersi, metà per parte, di fronte ad un’asticella leggera lunga qualche metro, tenerla appoggiata sugli indici
img_20161024_141638-1-e1477925236561 alternati di tutti gli astanti e riuscire ad appoggiarla a terra senza farla cadere. Al primo tentativo in pochi secondi l’asticella sale verso l’alto invece di scendere. Sorrido, prima di sentire da Giulia quanto sia
img_20161024_142627-1-575x1024 incredibilmente difficile che non succeda esattamente questo senza una precisa strategia. Ora sono davvero curiosa.
Ecco di nuovo la consegna: avete pochi minuti per trovare questa strategia, insieme. Ed anche stavolta il miracolo: da qualcuno esce l’idea e durante l’esercizio la leadership fa il resto. Dopo un paio di tentativi l’asticella scende
img_20161024_142832-1-e1477924901547 miracolosamente verso il basso. Anche questa volta la restituzione mi delude un po’. Ok, ci lavoreremo. L’inglese non è tutto.

Le ultime due attività sono conclusive. La prima consiste nello scrivere una frase ciascuno potendo vedere, e dovendo in qualche modo collegarsi a, solo quella scritta dal compagno o compagna precedente. Tema: la giornata appena trascorsa.
La seconda è pensata dalla commissione che a scuola ha organizzato queste uscite, credo. Si tratta di un puzzle dove su ogni pezzo ognuno deve scrivere qualcosa, una frase, un desiderio, una considerazione sul gruppo.

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Faticosamente portiamo a termine anche queste consegne e, mentre il risultato della prima delle due attività viene condivisa sul momento, la condivisione dell’altra viene rimandata ad attività da fare in classe. Bene, ne approfitterò. C’è tanto da lavorare e ora abbiamo anche un punto di partenza.

E così rientriamo, come si scriveva una volta nei temi, “stanchi ma felici”. Risalgo sul pulmino in compagnia di dodici ragazzine e ragazzini che, mi dicono la collega e l’animatore Alessandro, hanno lavorato molto bene con la loro classe, dando un sacco di soddisfazioni.

Ok, ma io in realtà ho visto nella mia classe un sacco di potenzialità, di testoline pensanti, di voglia di fare, di curiosità costruttiva. Forza ragazze e ragazzi, diamoci dentro!

2 Commenti

  1. Che bella la tua relazione sulla giornata trascorsa insieme! !! Molto interessante anche per noi insegnanti. Abbiamo potuto cogliere degli aspetti dei nostri allievi che forse in classe non sempre è possibile fare.

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