La musica del Novecento in occidente. Viaggio con playlist finale

La creazione musicale, come quella di tutte le altre arti, conosce, nel XX secolo, una serie di cambiamenti, di linguaggio e di struttura.

I principali nemici della creazione di primo Novecento, in Europa e negli Stati Uniti, sono il gusto borghese e il melodramma. La borghesia non dà valore alla creazione musicale, usa le composizioni come un sottofondo, un sottofondo piacevole con cui accompagnare il riposo delle serate dopo una giornata di lavoro, di investimenti economici e di arricchimento. Il melodramma, dopo le creazioni di Wagner, è sottosopra: non si accontenta più di raccontare i sentimenti dei personaggi o degli eroi della storia ma indaga la mitologia di una nazione come la Germania (ad esempio ne il Crepuscolo degli dei dello stesso Wagner), coglie spunti dalla letteratura (Eugenio Onieghin di Cajkovskij) oppure esalta la psicologia, soffermandosi su casi di coscienza o problemi sociali (Il caso Makropoulos di Leos Janacek, Wozzeck e la prostituta Lulu di Alban Berg).

I compositori nati dopo il 1875 rifiutano la visione della musica come arte dei ricchi, come momento di piacere o di relax, ma vogliono renderla impegnata, più difficile, in grado di aprire nuove strade, premiando i giovani che sperimentano e lasciando indietro i borghesi che conservano. Altri autori, soprattutto in Francia, cercano un rapporto più diretto con il mondo della pittura (gli impressionisti) e con i café chantant, ambiente nel quale si sviluppano i primi tentativi di coniugare musica d’arte a musica popolare (una tendenza già avvertita in alcune sinfonie di Gustav Mahler, direttore d’orchestra di origine ebraica morto nel 1911 a Vienna).

In America, a cavallo tra il 1880 e il 1915, il ragtime, genere musicale fortemente sincopato e ricco di accenti sghembi, collocati sul tempo debole della battuta, fa da preludio alla stagione del Jazz, che esploderà, non solo a New Orleans ma in tutte le città statunitensi, dopo la Prima guerra mondiale. Il Jazz, nato soprattutto tra i neri d’America, con il suo messaggio di egualitarismo e di gioia, a tratti sfrenata, costituirà la colonna sonora degli anni dei presidenti repubblicani Wilson e Hoover, con la relativa liberalizzazione dei costumi (anche sessuali) che ne deriverà e che ben sarà raccontata dai racconti dell’età del jazz del romanziere Francis Scott Fitzgerald (boogie e charleston, due danze del decennio 1920-30, si presentano come i veicoli della sensualità e della liberazione dai dolori e dai problemi della Grande guerra). La presenza sulla scena musicale di grandi solisti (come ad esempio il clarinettista Benny Goodman) darà modo a tanti autori di musica colta di scrivere utilizzando la tecnica del crossover, un mescolamento di generi musicali distinti, mostrando chiari influssi jazzistici (si pensi ad Igor Stravinskij, Ebony Concert).

E’ un periodo, quello che va dalla Belle Epoque agli anni ’30, in cui gli stili si mescolano in modo sfacciato, in cui i compositori iniziano a divertirsi e a voler fare sberleffi alla società in doppiopetto scuro, che della musica cosiddetta classica è (o dovrebbe essere) il pubblico prediletto.  

Erik Satie, che dorme in soffitte luride e non riscaldate, scrive Parade, un balletto che non vuole unità narrativa, ma solo brani singoli, ambientati in un circo.

La cosiddetta grande musica rifiuta il sentimento romantico, l’Io, la sua raffigurazione (e forse, proprio perché vuole essere a tutti i costi originale, è doppiamente romantica!). Ora è il tempo di riscoprire l’oggettività, la forma “pura” della musica: non più musica come legante di un racconto, ma musica di per sè, in grado di significare qualcosa in ogni ambito.

Arnold Schoenberg (1874-1951), musicista viennese amico di Sigmund Freud, si circonda di una piccola cerchia di musicisti (Alban Berg e Anton von Webern) che contestano la scrittura del passato. Vogliono sviluppare uno stile in cui tutti i parametri, ritmo, melodia, armonia, siano integrati, completamente disinteressati al concetto di melodia (troppo rassicurante e borghese). A partire dai Tre studi pianistici op. 11 di Schoenberg si entra nella dimensione della musica dodecafonica, senza tonalità prestabilite, in cui tutti i dodici suoni (7 note bianche + 5 diesis neri) sono uguali e devono ripresentarsi secondo regole stringenti, sovente con grande scandalo per l’ascoltatore, che non ne capisce e non ne coglie il senso. Il risultato uditivo è una musica senza temi, senza parti riconoscibili dall’orecchio: una musica da leggere, più che da ascoltare. Da qui l’odio che il pubblico borghese prova nei confronti di questi autori, che nulla concedono al piacere uditivo.

Lungo tutte altre strade si muovono altri compositori, provenienti da altre aree d’Europa. 

Claude Debussy, che morirà nel 1918, dopo un esordio wagneriano (ispirato da Tristano e Isotta), si mostra molto interessato alla musica nera del periodo: dedica infatti alla figlia Chouchou il Golliwog’s cakewalk, ritagliato sul ragtime americano.

Bela Bartòk (1881-1945), in Ungheria, studia il folklore locale e lo utilizza a piene mani nelle sue opere per lo più pianistiche e cameristiche (Quartetto per archi n.1, Danze popolari romene).

In Francia, il russo espatriato Igor Stravinskij (1882-1971) inizia a scrivere brani brutali, colmi di ritmi sfrenati, con melodie minime e una foga narrativa mai sentita prima (il balletto La sagra della Primavera suscita, nella Parigi del 1913, un vero e proprio scandalo sia per le movenze dei ballerini in scena sia per la violenza espressiva della partitura).

In Italia la generazione dei musicisti nati dopo il 1880 riscopre le radici del folcklore regionale o della musica antica, dei Sei-Settecento, per costruire brani in stile neoclassico, in cui le melodie del passato vengono sottoposte ad un arricchimento ritmico mai sperimentato sino a quel momento (Scarlattiana di Alfredo Casella). Una sorta di nazionalismo del passato, sfruttato a dovere dal regime fascista per fare notare, anche nelle arti, la grandezza del popolo e della nazione italiana.

In America nascono stili che mescolano la canzone dei musical di Broadway allo stile classico: George Gershwin, con le sue canzoni, i suoi ragtime e la sua opera Porgy and Bess coniuga questi due modelli di scrittura, sottoponendosi anche al giudizio dei grandi autori europei del periodo (chiese infatti lezioni di musica a Maurice Ravel, in Francia, che però gliele rifiutò in quanto a suo avviso Gershwin era già un musicista fatto e finito). Un altro compositore di avanguardia, Darius Milhaud si ispira agli allegri ritmi sudamericani, conosciuti in Brasile durante un lungo soggiorno di natura diplomatica (Scaramouche), oppure alla scrittura con più tonalità sovrapposte nello stesso brano (politonalità).

Ulteriore nuova via della musica contemporanea è quella del “Bruitismo” (o del rumorismo), una musica che riconosce cittadinanza al rumore, ai suoni della fabbrica tipici della vita moderna sempre più basata sulla velocità, sul caos, sulla società urbanizzata e di massa: Pacific 231 di Arthur Honegger parla di una locomotiva che prende man mano velocità, La fonderia d’acciaio di Mossolov ricorda l’industrializzazione forzata della Russia di Stalin, Hyperprism di Edgar Varése confonde il suono delle percussioni a sirene di piroscafi e navi.

In Russia, dopo la rivoluzione di Lenin del 1917, si impongono due grandi autori, legati in parte all’esperienza classica europea, in parte alla musica popolare, in parte allo sperimentalismo artistico dell’età di Lenin: uno è il pianista Sergej Prokov’ev (Terzo concerto per pianoforte e orchestra), l’altro è il compositore Dimitri Sostacovic. Soprattutto quest’ultimo sarà messo nel mirino – in quanto autore troppo borghese, troppo distante dai bisogni musicali del proletariato, troppo inquinato dalla modernità occidentale – dalla censura di Stalin (che criticherà pesantemente la sua Quarta Sinfonia), causandogli una serie di gravi problemi nervosi. Ciò non gli impedirà di scrivere capolavori che celebrano la resistenza russa al Nazismo (Settima Sinfonia) o opere considerate che sfiorano la pornografia per il soggetto trattato (Lady Machbeth).

In (enorme) sintesi: il Novecento rappresenta il periodo in cui nascono stili compositivi sempre meno legati a consuetudini tradizionali, sempre più liberi nei linguaggi e nelle forme. Un sistema creativo molteplice e senza uno stile univoco di riferimento: un Romanticismo al quadrato. Una molteplicità che, se preserva e talora esalta la creatività dei singoli, toglie punti di riferimento agli ascoltatori, che, non per nulla, nel XX secolo, sceglieranno di rifugiarsi nel repertorio classico, nell’ascolto delle opere del passato, dimenticandosi progressivamente dei capolavori della loro epoca, troppo difficoltosi da ascoltare senza preparazione specifica o opportune mediazioni culturali, sempre meno richieste da una società pervasa dai demoni della fretta e del benessere individuale.

Playlist: Novecento storico occidentale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *