Gabo

A molti, artisti e non, è capitato di voltarsi indietro e guardare, magari con un po’ di nostalgia, i tempi passati, si pensi ad alcune canzoni come “Cosa resterà di questi anni 80” di Raf, “Gli anni” degli 883 fino ad arrivare alla più recente “Musica del cazzo” del duo Fedez – J-Ax.

Una parte della mia adolescenza cade nel periodo compreso tra la fine degli anni ’80 (caduta del muro di Berlino) e i primi anni ’90 (desert storm – assedio di Sarajevo e massacro di Srebrenica) e dal punto di vista musicale si caratterizza dal mio primo concerto in età preadolescenziale, 1987 Madonna, stadio comunale di Torino, passato alla storia per le domande di inizio concerto “Sieti pronti? Sieti già caldi?” e il primo walkman, bellissimo dell’Aiwa. Ogni tanto mi recavo all’edicola dove principalmente acquistavo AutoSprint, ero tifosissimo di Alain Prost e mi ricordo che un giorno vidi allegato alla rivista Tutto una cassetta dal titolo “Ligabue e i suoi fratelli”. Ascoltavo Ligabue perché un mio compagno di classe cantava ad ogni occasione “Walter il mago”, quindi decisi di acquistarla. I “fratelli” erano i “La Cruz” e i “Modena City Ramblers”, gruppo, quest’ultimo, che sarebbe diventato il mio preferito e da cui poi per vicinanze sonore o di “impegno” ho conosciuto tanti altri gruppi e cantanti che compongono il mio background musicale. La canzone contenuta nella cassetta era “In un giorno di pioggia”, dichiarazione d’amore verso l’Irlanda.

I MCR li ho ascoltati dal vivo numerose volte, sono andato in trasferta per ascoltarli un capodanno a Modena, nella loro amata Irlanda e in altri luoghi meno remoti. Le canzoni di cui vi voglio scrivere oggi sono due che mi hanno aperto alla lettura di alcuni scrittori dell’America latina. La prima canzone appartiene a quella che si può definire la seconda fase dei Modena, dopo una prima caratterizzata dai suoni irlandesi ispirati ai “The Pogues” ed ai “The Dubliners” a cui si deve anche probabilmente l’idea di chiamare la band con il nome della città di provenienza, nel terzo album le sonorità cambiano ed i testi sono fortemente influenzati dalle letture delle opere del premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez (detto Gabo, da cui il titolo del mio articolo).

La canzone si intitola Cent’anni di solitudine, esattamente come il romanzo a cui è liberamente ispirata e a cui si rifanno anche altre canzoni dell’album “Terra e Libertà” come “Macondo express”, “Il ballo di Aureliano” e “Remedios la bella”

La seconda canzone contiene un brano di Jorge Amado in cui si denuncia l’impoverimento causato da decenni di razzie ai danni dei paesi dell’America latina e come ho scritto mi ha spinto ad approfondire altri scrittori sud americani come Luis Sepulveda, che nella canzone recita la parte tratta da “Las vienas abiertas de America Latina”, e successivamente lo stesso Amado.

La canzone, che da il titolo anche all’album parla delle nazioni che sono fuori dai riflettori mediatici e di cui si sente parlare solo se succede qualche tragedia o colpo di stato.

Visto che ho citato i “The Dubliners” vi inserisco anche il link di una canzone di cui i MCR hanno fatto una cover, ecco il link della canzone originale che è del mio anno di nascita https://www.youtube.com/watch?v=O7fimO1IAh0 e la versione dei Modena, https://www.youtube.com/watch?v=lmWgbAYN4-E 

Spero che vi faccia piacere condividere con me un po’ di musica e spero di continuare con questa rubrica che mi da modo di scrivervi alcuni pensieri attraverso la musica, magari un giorno vi racconterò anche di come la musica mi abbia salvato la vita.

Parafrasando una frase di una puntata dei miei amatissimi Simpson, ci annusiamo presto!

GM

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