Trieste e la letteratuna nel XX secolo. Tema argomentativo attorno a Svevo, Saba, Slataper e Magris

Trieste, per quanto porto principale dell’Impero Austro-Ungarico sino al 1918, è stata una delle città più importanti per la letteratura italiana del Novecento.

Liberata alla fine della Prima guerra mondiale, a Trieste abitarono e vissero diversi importanti scrittori, sia in poesia sia in prosa, durante la prima metà del secolo scorso.

Tra questi ultimi, il più importante, fu sicuramente Italo Svevo (Ettore Schmitz). In lui si componevano diverse tradizioni linguistiche e letterarie (oltre alla cultura ebraica): quella slava (slovena), quella tedesca e quella italiana. Svevo fu il primo scrittore a sentire la necessità, con La coscienza di Zeno, di accostarsi alla psicanalisi. Rendendosi ben presto conto che essa non poteva curare nessuno, dato che, nel Novecento, non esisteva uomo sulla terra che non fosse psicologicamente debole (come ci fa capire Zeno Cosini, alla fine del romanzo omonimo).

A questo pensiero si accodò Umberto Saba (1883-1957), abbandonato prima di nascere dal padre, con gravi problemi di depressione che lo accompagnarono per tutta la vita. Saba credeva, al contrario di Svevo, nell’efficacia della psicanalisi, ma sosteneva che, per quanto fosse giusto sottoporsi alla sua terapia, bisognasse poi uscirne, abbandonarla prima di guarire. Ciò per un motivo: diversamente, si sarebbe persa la capacità di sentire il dolore del mondo, farsene pieno carico come artista e descriverlo in versi.

Un altro metodo per lasciare le sabbie mobili della crisi personale ci viene proposto da Scipio Slataper (1888-1915), autore dello strano volume Il mio Carso (edito nel 1912). Al suo interno, Slataper spiega che, se si vuole dirare slancio alla letteratura e all’Italia, bisogna vivere in modo primitivo, brutale, così come richiede la terra aspra e selvaggia che circonda Trieste: il Carso. Solo appropriandosi delle sensazioni e del piacere della vita pura (l’acqua fresca, gli attacchi dei lupi selvatici) si ritrova la propria vitalità, la propria salute.

Tra gli scrittori contemporanei, alcuni ancora viventi, abbiamo Fulvio Tomizza (1935-1999), autore di volumi che ben ritraggono la condizione di vita degli istriani dopo la tragedia delle foibe dei partigiani di Tito (La miglior vita, 1977), e Claudio Magris (1939) già docente di lingua e letteratura tedesca all’università di Torino, e autore del volume Danubio (1986), dedicato alla ricostruzione di un viaggio attraverso le terre dell’est europeo bagnate da questo fiume (dalla Germania sino alla Romania). Il testo rievoca la decadenza sociale ma anche economica di un mondo, quello dell’area dei Balcani e dei Carpazi, che è stato spezzato dalla Prima guerra mondiale e poi mai più riunificato.

Ho provato a svolgere, a livello orale, in questo file audio, un tema argomentativo, collegando quelle che, a mio avviso, erano i modelli e i pensieri più importanti dei maggiori letterati triestini del Novecento (come se questi documenti, in parte sintetizzati nel testo qui sopra, vi fossero stati dati da leggere durante la prima prova scritta). Ascoltatelo e fatemi sapere se ne condividete lo svolgimento (per questo, non ci sono pagine specifiche dell’antologia di quinta; se volete, pp. 468-473; 367).

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