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Storia della mafia in Italia (1860-1994). Parte 2: il primo Novecento

Questo articolo prosegue quanto iniziato in questo indirizzo web.

I nemici della mafia diventano allora i membri dei partiti contrari al governo liberale, soprattutto i socialisti. Tra il 1900 e il 1910, sono diverse le perquisizioni delle leghe socialiste siciliane che si concludono o con l’arresto o con l’omicidio dei rappresentanti del partito o con l’incendio delle sedi. Polizia e Carabinieri infatti adottano tutte le direttive loro impartite dal potere politico locale, strettamente legato ai mafiosi e reprimono sindacalisti e braccianti senza farsi troppo pregare.

La mafia si radica particolarmente, sostituendo lo Stato, nella zona occidentale della Sicilia. Qui, negli anni ’10, è normale votare secondo un sistema studiato (inutilmente) da un onesto commissario di polizia: il sindaco mafioso aspetta fuori dal seggio le persone e le minaccia per indurle a votarlo. Subito dopo, dà loro in mano la scheda elettorale già votata con il suo nome.

Nello stesso periodo, la mafia siciliana inizia porre radici solide anche negli Stati Uniti, dove numerose sono le famiglie di origine siciliana. Qui la mafia, chiamata all’inizio Mano nera, gestiva il traffico di documenti per gli emigranti italiani. Oltre oceano, la mafia, da rurale, si sarebbe presto trasformata in mafia urbana, con l’invenzione della “protezione” (ovvero del taglieggiamento dei commercianti): in questo modo essa avrebbe favorito sia l’ingresso degli emigranti italiani sia lo smercio delle merci di contrabbando (come gli alcoolici durante gli anni ’20 del Novecento). Il primo nucleo di forze dell’ordine che si mossero a contrasto dell’attività mafiosa fu coordinata, a New York, da un italo-americano, Joe Petrosino, tenente della polizia americana. Dotato di moltissimi dollari dall’amministrazione americana, Petrosino si recò a Palermo nel 1909, dove, per più di un mese, pagando profumatamente i suoi informatori, riuscì a scoprire molte pieghe interne dell’organizzazione malavitosa. Il 13 marzo, mentre tornava nel suo albergo, fu ucciso a colpi di pistola. Quello che emerse dalla sua coraggiosa indagine fu la divisione del territorio siciliano in due parti: uno, consegnato nelle mani dei mafiosi e degli sfruttatori, l’altro composto di un elevato numero di persone che, per paura, taceva, pur odiando i metodi mafiosi.

Durante la Prima guerra mondiale, la mafia siciliana fece affari d’oro sfruttando i braccianti a livelli mai visti sino ad allora; il controllo del mercato nero degli alimentari fornì ulteriori margini di guadagno. Però la leva forzata e, al rientro, il sistema di voto proporzionale, misero in crisi le clientele: ora non andava più sostenuto un singolo nobile, un politico amico, ma un partito politico.

Inoltre, i contadini che erano tornati vivi dal fronte avevano imparato a sparare e a farsi temere: non erano più semplice popolo bue da guidare, erano più pronti a combattere per i loro diritti e spalleggiati, oltre che dai socialisti, anche dalle leghe bianche cattoliche, nate sull’esempio del Partito Popolare di don Sturzo. Per terrorizzare i contadini, i mafiosi iniziarono, tra 1919 e 1920, una forte politica di repressione militare, uccidendo molti rappresentanti degli interessi popolari.

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