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Scrittori mattatori. 1. ADAM GRIOTTO, Le ciabatte rosa

Popolo dei ragazzi, popolo dei lettori,

diamo avvio, con questa pagina, ad una nuova rubrica del Blog: “Scrittori mattatori”. Vi invitiamo a tirare fuori dai vostri cassetti romanzi, racconti e/o poesie. Basta tenerveli sotto mano, serrati, solo per voi: è ora di fargli prendere un po’ d’aria. Esponeteli alla luce del sole, dove il giudizio degli altri li possa finalmente incontrare.

Il primo racconto che pubblicheremo è un’opera di un giovane e promettente scrittore che, per modestia, si cela dietro ad uno pseudonimo, Adam Griotto. Chi è costui? Che cosa scrive?

Alla prima domanda saprei rispondere, ma non lo farò mai! Per soddisfare la seconda, invece, vi darò qualche indizio. L’autore di Le ciabatte rosa è un appassionato di letteratura americana, di fumetti (“Urania”), di Douglas Adam, di Allen Steele, ma anche di grandi classici, come Jules Verne o Isaac Asimov.

Non vi fidate della presentazione…? Fate bene!

E allora leggetelo: poi datemi (dategli!) una vostra impressione.

 

Le ciabatte rosa

Quando d’un tratto si aprì la porta, la stanza era ancora buia e le ciabatte rosa, un po’ consumate sul tallone, stavano lente, adagiate sul giallo del tappeto, parzialmente coperte dal marrone della gamba del tavolo. Una coltellata di luce bianca invase la stanza e l’urlo di Tomson svegliò gli uomini che, completamente sudati, cercavano invano di riposare. Tomson non era certo un tipo delicato e al buio poteva anche far paura; per questo, preferiva vivere e lavorare di notte, quando l’unica luce che lo precedeva era quella della sua pila ad alta densità, seguita subito dal nero della sua ombra. Lui si muoveva così: luce, urlo, buio.

Nessuno lo ha mai visto in faccia, il suo lavoro consiste nell’aprire la fila agli altri, perciò tutti gli stanno dietro, o meglio stanno dietro alla sua pila, perché di lui non frega niente a nessuno: la luce della pila è la guida per tutti.

Due piedi stanchi si infilarono svogliatamente nelle ciabatte rosa. Erano i piedi di Squis. Squis era un tipo insignificante, la cui unica particolarità era quella di dover essere il primo ad uscire dalla zona riposo e seguire Tomson. Pertanto lui era il secondo della fila ed era conosciuto come “colui che segue la luce”; era sempre tenuto d’occhio da Vert, che lo seguiva immediatamente dopo.

Vert non si preoccupava di Tomson, a lui interessavano solo le mosse di Squis, perché sapeva che dove andava Squis doveva andare lui, tanto era Squis a seguire la luce.

Anche Stol balzò giù dal letto-a-rotolo. Come gli altri lo arrotolò e lo mise dietro le spalle legato ad una cordicella alla quale era anche assicurato il piccolo sacchetto delle cose necessarie. Stol era un tipo facile da seguire, perché era abbastanza piccolo e dalle sue spalle si riusciva ancora ad intravedere la luce di Tomson, così Arius, all’inizio della sua esperienza, lo scelse. Un po’ da opportunista, pensando che stando dietro a lui avrebbe visto un po’ di luce. Arius era l’ultimo della fila e completava la squadra il cui motto era “ognuno al suo posto”.

Come questa, di squadre, ce n’erano a milioni, tutte con il proprio capo-luce e con i seguitori. Giravano voci di squadre di oltre 10.000 unità variabili, tutti uno dietro l’altro; pensando a queste Arius sorrideva, ritenendosi ancora un privilegiato, e vedeva se stesso avviarsi dietro un compagno, preceduto da altri mille e seguito da altri mille. «Tanto però, a ben vedere, cosa cambia? Il mio compito e seguire quello che mi sta davanti, tutto il resto non conta, perché quello che mi precede segue quello che lo precede e così via, fino all’inizio, fino alla luce guida. Chi mi sta dietro deve solo seguirmi, come faccio io con chi mi sta davanti, e così fa chi segue chi mi segue, fino all’ombra che chiude la fila, l’uomo oscuro, l’unico, forse, a sentirsi solo perché dopo di lui, il nulla, il buio tremendo».

Dietro la luce ci muoviamo tutti al buio e, se perdiamo il nostro riferimento, la fila si interrompe, si perde. Si narra di file interminabili di seguitori che camminano senza luce e senza scopo, perdute nel niente.

Le ciabatte rosa di Squis non erano le uniche ciabatte rosa, tutti avevano un paio di ciabatte e tutte erano rosa, così se anche non si trovavano le proprie, anche un altro paio andava bene: la misura era la stessa per tutti, grande, così non c’erano problemi e nessuno avrebbe potuto lamentarsi che le sue ciabatte erano piccole.

Le ciabatte erano l’unica cosa veramente importante in un’esistenza grigia e il rosa, all’Idea madre, appariva un colore che con il grigio intonava abbastanza bene. Tutti si chiedevano perché proprio il rosa e mai nessuno era riuscito a dare una risposta tanto semplice quanto ovvia a questa domanda.

Fu Restin a dare una prima svolta alle interminabili file di seguitori, quando pensò di accodare all’uomo oscuro il capo-luce di un’altra fila di seguitori, Così due file divennero una fila, ma con due luci.

Un giorno accadde una grande disgrazia. Un seguitore, di cui oggi si è perso il nome, pensò di far girare di qui e di là la sua fila (si racconta di oltre 100.000 seguitori). Di colpo la fila si spezzò e tutti si trovarono al buio, uomini senza futuro e senza passato, nessuno davanti, nessuno dietro. Tutti al buio.

Forse era l’occasione per trovare una nuova via ma, tutti spaventati, cominciarono a disperdersi nel buio e mai più si ritrovarono.

Il capo-luce Tomson e i suoi pochi compagni erano i primi di quella fila e riuscirono a rimanere uniti, forse solo grazie alla luce per loro fortuna vicina. Da allora, il loro scopo fu quello di ritrovare i dispersi di quella fila spenta.

E se qualcuno gli avesse chiesto «dove andate?» o «cosa fate», forse qualcuno avrebbe risposto «giriamo».

Firmato: Adam Griotto

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