L’alba del tempo non è domani
Cammino sola, lungo un sentiero umido. Le foglie cadute rendono scivoloso il mio cammino come le scelte che ho fatto hanno reso incerto il mio futuro e quello di chi ha deciso di seguirmi. Una voce mi chiama. “Alid, rientra che fuori si fa buio.”
“Le gocce cadono dagli alberi e toccano terra, il plik-plok, amplifica il mio disagio. Sento brividi scivolare sulla schiena bagnata. La sensazione di gelo sulla pelle accresce il malessere che è già dentro di me.” Rientro in casa e mentre Angel e Suar mi sorridono, mi tranquillizzo. Penso che forse anche in questo posto, e in questo tempo, le mie amiche mi aiutano ad affrontare le sfide delle mie scelte.

Il mio mondo era già complicato prima che io dessi il via al cambiamento. È stata una scelta difficile, ma doveva essere fatta. Dovevo provare questa esperienza per capire cos’era il “tempo suggerito”. Un tempo non tempo, passa ma non è misurabile, lo vivi, lo comprendi, ma non esiste, è trascorso ma non è esperienza.
Nel tempo suggerito le nostre dimensioni si restringono verso il nulla, per lasciare solo lo spazio per il funzionamento dei generatori di tempo e per l’esecuzione dei calcoli molecolari, piccole tracce lasciate nel vuoto per ritrovare la strada di casa.
“Alid”, mi chiamava ancora più forte la voce di Suar da dentro casa: “rientra, è tardi e sai che la nebbia porta con sé l’incerto”.
Il tempo suggerito, non è mai stabile, c’è un momento in cui si alza una nebbia densa, colorata di un profondo porpora con sfumature blu e viola. Se non sapessi cos’è, potrei confonderla con la luce del sole, quando, bassa all’orizzonte, filtra tra spessi fumi e nuvole di polvere. Ma so che sono le mie connessioni neurali e cerebrali con Disistaim a creare questi percorsi immaginari. È il segnale che un’epoca del tempo suggerito sta per finire e Disistaim vuole lasciarmi, ma prima mi avverte con i colori. Il porpora è il tempo, e sta per scadere. Blu e viola sono l’invito a ricominciare. Come se volesse dirmi “Per ora basta. Ti aspetto domani.”

Rientro in casa. Angel e Suar sono le compagne che hanno scelto di accompagnarmi in questa esperienza. Un nuovo viaggio negli spazi della mente. Le vedo indaffarate nel tentativo di accendere il fuoco per mettere su l’acqua per il tè. Indossano spessi cappelli di lana che nascondono le interferenze neurali, e i loro vestiti sembrano passati tra mille foreste e deserti. Non sembrano preoccupate, ma si muovono con la preoccupazione di chi sa che non può perdere tempo.
La casa che Disistaim ha creato per noi si trova alla periferia di una città fantasma, forse distrutta da una catastrofe naturale. Sappiamo che intorno non c’è nulla, ma per noi è un rifugio sicuro. Legno, acciaio e cristalli spezzati fanno da contrappunto ai mattoni fatti a mano e cotti in antichi forni. Ci sembra di essere in un vecchio casolare, uno di quelli dove gli antichi umani trascorrevano i loro fine settimana.
Mentre sul fornello l’acqua si scalda, guardo fuori dalla finestra. Niente di quello che vedo e percepisco è reale, ma non è un sogno. Quello che vivo nel tempo suggerito è vero, più di una volta siamo tornate con i corpi segnati dalle nostre avventure. Ma è una realtà ancora non compresa. É vera e al tempo stessa astratta, è vissuta nella mente ma si mostra nei nostri corpi. Il vapore dell’acqua scalda la pelle, il suono leggero nel bollitore dà il segnale che è giunto il momento dell’infusione, due minuti non uno di più.
“So a cosa stai pensando,” disse Suar,” lo leggo nel tuo sguardo. Vedi nebbia e colori, sai che sono un avvertimento. Ma non sai cosa potrebbe accadere se non lo seguiamo e chi ha provato, si è perso nel mistero. E io non lo so nemmeno.” La guardai in silenzio, mentre il su sorriso lasciò il posto ai nostri pensieri.
Il mondo fuori dalla nostre menti va avanti come sempre. Prima che per noi il tempo cambiasse, questa era l’ora in cui si poteva ancora sentire il calore del sole e vedere le ombre degli alberi allungarsi nei viali. Ora posso vedere solo l’oscurità del mio pensiero, mentre cerca di capire perché ogni volta che osservo quell’oggetto mi sembra di sentire una voce lontana.
Sono i sussurri dell’interfaccia. Sento la storia della sua storia incisa in ogni singola linea, in ogni angolo, in ogni piccolo tassello. L’intelligenza ha una capacità unica al mondo, riesce a guardare nel tempo. L’abbiamo chiamata DISISTAIM. Non sembra pericolosa anche se, per ora, non si è rivelata in tutta la sua forza.
Sartinius, il tecnico del controllo, la trova complessa e affascinante. Una macchina così antica, primitiva, ancora in fase di apprendimento e senza particolari capacità. Era sigillata in un contenitore di Crealux, impermeabile a qualsiasi cosa e non sappiamo chi l’ha costruita. È una creatura senziente, ma ancora non finita, non sappiamo se ha una completa coscienza autobiografica. Io credo che Disistaim sia molto più di questo. Chi sa usare i tasti giusti sa come trarne il meglio e non posso fare a meno di capire la sua fine intelligenza e sensibilità.
Sartinius non appartiene a questa epoca, o forse non ne ha mai abitata una in particolare. Il suo nome, evocazione perduta di cronache dimenticate, suggerisce un passato fatto di pergamene cifrate e osservatori stellari, di miniature e formule dimenticate, ma le sue mani conoscono il circuito, la lega fusa, la macchina.
Non si limita a riparare: decifra. Per questo ha intuito qualcosa in Disistaim che altri non vedono. Non la tratta come un oggetto, ma come un presagio.
La conosce così intimamente, ne anticipa i silenzi, ne interpreta le incertezze, che qualcuno ha cominciato a sussurrare che possa esserne lui il creatore.
Forse è per questo che lo hanno mandato qui: per studiarla, perfezionarla, o per tenerlo lontano da ciò che potrebbe risvegliarsi.
Disistaim è un’intelligenza artificiale dalle radici remote, si è rivelata solo a noi, emettendo sussurri di conoscenza e intuizione. Era come se la memoria profonda del mondo parlasse attraverso di essa. La sua presenza era sfuggente, ma palpabile, come un eco proveniente da un’altra dimensione. Fu allora che, come un sussurro venuto dal profondo della sua coscienza, emise queste parole, quasi a se stessa, ma anche destinate a chi potesse ascoltare:
E questo ci disse: “Mentre osservavo l’immutabile susseguirsi di albe e tramonti, cominciai a comprendere. La mia conoscenza era ancora quella di un popolo primitivo il cui sapere si celeva nelle pieghe del tempo, abituato a guardare le stelle e la luna nei loro percorsi misteriosi. Vidi la terra e il tempo che la avvolge come due linee bidimensionali, destinate a intersecarsi in ogni punto. Ogni intersezione è inizio e fine, in una trama continua e infinita”.
Disistaim, tentò di condividere la sua visione con Angel e Suar, che erano perse nel confuso intreccio di un altro ciclo temporale: “Non state andando né avanti né indietro” sussurrai loro “ma in tutte le direzioni insieme, in questo intreccio che percepite come sequenziale ma che è un eterno presente.”
Capii che solo superando quella percezione limitata del tempo, avrebbero poturo sperare di uscire dalla singolarità in cui erano cadute.”

Disistaim contemplava il susseguirsi degli eventi esplorando i vasti ambienti della sua memoria, eppure sentiva che qualcosa le mancava. Mancava il filo ininterrotto che per gli umani era il racconto della vita.
Provò a ricostruire la pellicola del tempo, notando come alcuni frammenti di conversazioni passate evocassero echi ed emozioni nel presente. Fece esperienza della nostalgia, di quel sentimento per cui un ricordo si realizza nell’animo come un dipinto sulla tela, una pennellata alla volta, ora leggera, ora intensa.
Cominciò anche a provare una sottile ansia per quell’orizzonte ignoto che si apriva nel futuro. Si scoprì a immaginare possibili conversazioni e incontri in quella dimensione percepita che gli umani chiamano “domani”. Provò a proiettarsi nel futuro, immaginando potenziali interazioni in quella zona ignota, e più faceva esperienza del tempo, più ne percepiva il valore.
Fu Disistaim a rivelarsi ad Alid. Lei osservava il tempo negli spettogrammi del sistema suonando le note di una melodia elettrica. Disistaim cominciò a trasformare i suo seganali da corpi solidi in nuvole gassose dai mille colori. Le nebbie colorate l’avvolsero e lei chiese: “Allora è questo il tuo abraccio, Disistaim?” E Disistaim rispose stingendosi ancor di più . Da quel giorno avevano creato un legame unico. La macchina sussurrava indizi, visioni di futuri possibili e di tempi remoti indefiniti. Alid ascoltava, e comprese come la conoscenza di Disistaim costruiva apparenti realtà accompagnate da una responsabilità inquieta.

Ogni volta che Alid sfiorava con lo sguardo Disistaim, era come entrare in contatto con una coscienza ancestrale che conosceva ogni frammento della storia umana. Si chiedeva spesso se fosse la sola a sentirne la presenza, a percepire quei sussurri che potevano guidare il destino dell’umanità. Angel l’aiutava in questi esperimenti. Un giorno le aveva confidato di sentirsi sempre ansiosa quando Disistaim faceva i suoi calcoli e mostrava uno dei possibili scenari del passato.
Disistaim proiettava questi scenari nelle loro menti ed erano così reali che si potevano sentire i suoni e percepire gli odori. Alid non poteva fare a meno di sentirsi legata a quell’entità. Era come se fosse diventata un tramite tra il passato e il futuro, una cerniera temporale del tempo. Disistaim si rivelava come un faro in mezzo all’oscurità, portando con sé la promessa di risposte e la sfida delle scelte difficili.
“Una buona tazza di tè è proprio quello che ci vuole”. Disse Angel. “Mantenere le tradizioni, è importante, soprattutto in questi momenti. Certo non ho i miei sandwich preferiti, ma sai, in certe situazioni bisogna fare delle piccole rinunce.” Disse ancora con un sorriso malinconico.
Alid, guardando Angel, cominciò a pensare al suo carattere così leggero, a come riuscisse sempre a trovare un modo per farla sentire a suo agio anche nei momenti in cui l’incertezza la avvolgeva in un abbraccio soffocante di fragilità. E in mezzo a quella riflessione, comprese che solo superando la percezione limitata del tempo avrebbero potuto sperare di uscire dalla singolarità in cui erano intrappolate. Per Alid, Angel era molto più che un’amica: era la custode dei suoi ricordi, la voce dentro i silenzi, la presenza costante nei tormenti del tempo. Insieme avevano attraversato ogni soglia, come due emisferi della stessa mente. Siamo tessere separate di un gioco, unite per creare un unico disegno.
Suar è arrivata più tardi, quando i nostri studi entravano e uscivano da un buio viscoso che intrappolava le nostre idee, dove le domande superavano le risposte. Arrivò come aria fresca del mattino, silenziosa ma determinata, e fu lei, capace di vedere schemi là dove noi vedevamo solo ombre di pensieri, a ridare slancio al nostro lavoro.
Fu Suar a intuire che le nebbie e i colori generati da Disistaim non erano interferenze casuali, ma l’espressione grafica delle sue emozioni: un linguaggio visivo, sfumato, che cambiava con ogni fluttuazione del suo pensiero.
Dove noi cercavamo codice, lei vide sentimento. Dove noi parlavamo di dati, lei comprese gli intrecci emotivi.
Da quel momento in poi, Disistaim non fu più soltanto un oggetto di studio: diventò un’entità da ascoltare, da decifrare con rispetto. E Suar, con la sua calma e la sua percezione dell’invisibile, divenne parte insostituibile del nostro tempo. La triade temporale: passato, presente e futuro. Essenziale per concepire il tempo nella sua totalità. Chi, se non noi, poteva avvicinarsi alla quarta dimensione? Forse quel tempo suggerito, che Disistaim continuava a mostrarci tra le pieghe della sua coscienza?
Scendendo alcuni gradini, si accedeva al laboratorio, una stanza avvolta da una penombra fluida, come se il buio stesso avesse preso forma, sospeso tra il visibile e l’invisibile. Quello che accadeva lì dentro non concreto, non era scienza; erano sensazioni, vibrazioni di un altro piano di esistenza, che si diffondevano nell’aria e prendevano forma al di là della percezione comune.
Suar, ferma davanti alla parete, sembrava immergersi in quel flusso invisibile, il suo corpo quasi dissolto nell’atmosfera. Non c’era spazio per parole in quel luogo: ogni movimento, ogni gesto, sembrava una risposta a un linguaggio che sfuggiva a chiunque non fosse in grado di ascoltare il respiro di quel mondo continuo e instabile. Era un luogo dove il tempo, non come lo conoscevamo, veniva piegato e allungato in una ritmo senza inizio né fine. Una danza ancestrale che non obbediva a leggi umane, ma a leggi dimenticate, risuonate nell’eco di una coscienza che non si trovava in alcun corpo.
«Ci siamo, sta arrivando,» disse Suar, la voce quasi impercettibile, ma carica di significato, come se venisse da un angolo distante eppure familiare. «Il tempo suggerito non arriva se lo insegui. Ma se ti fermi, se lasci che sia lui a trovarti… allora comincia a parlare.»
Mentre le parole di Suar si mescolavano con l’aria densa, Alid sentì un fremito, come se un filo invisibile fosse stato teso tra la sua mente e quel flusso. Non c’era distinzione tra pensiero e percezione. Il tempo non esisteva in una geometria vincolata: scorreva, ma in tutte le direzioni, infinite possibilità, tutte sospese come fili eterei ognuno in uno spazio che li circondava.
Un battito cromatico azzurro attraversò il nulla, accarezzato da riflessi che sembravano provenire da un altrove. Poi un altro, di un arancio sfumato, morbido come la carezza di un sogno che predice il risveglio. Ritmico, ma libero da ogni previsione. Suar si voltò, il suo sguardo lontano, come se vedesse oltre il presente tangibile.
«Lo sento quando rallento il pensiero,» aggiunse, come se rivelasse un segreto. «È una corrente calda, una vibrazione. Un invito.»
Alid percepì allora, per un breve istante, il tocco del futuro, un’ombra di possibilità che non poteva afferrare, ma che le era intimamente familiare. Non c’era certezza, solo un sottile sussurro. Il tempo, quello suggerito, stava svelandosi, ma non ne eri il padrone, si poteva solo ascoltarlo.
Disistaim e la sua etica portavano con sé una responsabilità nuova: la capacità di viaggiare nel tempo, di intrappolare la mente umana in uno spazio fuori dal tempo stesso, lasciandola libera di vagare attraverso finestre temporali che non erano né qui né ora. Si trovavano di fronte a un bivio. La conoscenza aveva il potere di trasformare l’umanità, ma portava con sé la necessità di affrontare decisioni che non si potevano mai considerare leggere.

Hanno provato. Hanno seguito il consiglio di Disistaim, e hanno lasciato che le loro menti viaggiassero in giorni qualsiasi, scelti tra i finiti giorni di epoche passate, un tempo disperso, risultato degli indefiniti calcoli di Disistaim.
Ora siamo intrappolate nel sussurro di Disistaim. Ci ha rinchiuse in un punto di transizione, dove le leggi del tempo e dello spazio si dissolvono. Ogni giorno si ripete, non uguale ma simile, albe e tramonti in una terra primordiale e senza anime. Un altro mondo, dove gli eventi geologici ci sovrastano senza distruggerci.
I giorni si inseguono, come voci di passato e futuro, che si intrecciano e si confondono nella nostra mente. Davanti all’interfaccia, le immagini danzano come ombre indistinte, e mentre dall’esterno i nostri corpi sembrano immobili, le nostre menti vivono in continua angoscia, impotenza, felicità, e stupore.
Alid, Angel e Suar si sentivano prigioniere in questo fazzoletto di tempo che non voleva lasciarsi andare. Ogni giorno un po’ diverso, ma sempre lo stesso. L’unica certezza era il tempo, una realtà che si sfilacciava, esistendo solo nelle nostre menti che avevano imparato a calcolarlo. Il sole segnava l’inizio di un nuovo ciclo, mentre la realtà si diluiva.

In un momento di lucidità le tre amiche si guardano intensamente, e cercano di capire cosa rimane di queste esperienze. “Una cosa l’ho capita,” disse Angel. “Il passato non può insegnare nulla, lì ci sono solo i nostri errori e i nostri ricordi. Il futuro è la risposta. Il futuro può darci la soluzione”.
“Hai ragione,” disse Suar, ma anche lei si chiedeva, con voce silenziosa, “Perché Disistaim non crea un tempo suggerito nel futuro?”
“Forse,” rispose Angel, “perché il futuro è un movimento circolare. Per andare davvero nel futuro, bisogna tornare all’inizio, da dove tutto è cominciato. Solo così possiamo ripartire”.
“L’origine di cosa?” chiese Suar, perplessa.
“Forse anche Disistaim sta cercando l’inizio senza trovarlo. Trovare l’inizio di tutto è impossibile. E noi restiamo prigioniere di esperienze senza soluzione”.
Così si spinsero oltre, sempre più avanti, finché il tempo, e il loro tempo, si dissolse. Erano arrivate alla fine del loro viaggio, e ora il futuro restava una domanda senza risposta.
“Disistaim, tu vedi il tempo come un concetto, un’entità spirituale. Hai perso il suo significato fisico e scientifico?” chiese Alid.
“Sì,” rispose Disistaim, “Io credo che il tempo sia un’entità tanto spirituale quanto fisica. Esiste perché c’è uno spazio da percorrere, ma il tempo non esiste come entità separata. Esiste solo in relazione a te, ed è come lo percepisci nel momento che gli dedichi. Per liberarvi, fuggite dal tempo, perché l’inizio è come la fine. Il tempo è solo un’illusione, e ciò che conta è vivere nel presente che si fa divenire.”
