bandiera italiana

Il Presidente immaginario


Una breve premessa
Questo testo è un esperimento di immaginazione: cosa direbbe un comune cittadino se per un giorno potesse fare il discorso di fine anno al posto del Presidente della Repubblica? Non intende mancare di rispetto verso le istituzioni, ma un modo per guardare l’Italia con occhi diversi e parlare dei problemi che tutti conosciamo.
I dati e i fatti citati sono reali, e le proposte nascono dalla voglia di migliorare il nostro Paese. È un invito a tutti noi cittadini a partecipare attivamente alla vita della Repubblica, sempre nel rispetto delle istituzioni democratiche e dei valori della Costituzione.

Oggi, mentre sono qui ad aspettare davanti alla TV di sentire il discorso del Presidente della Repubblica ho immaginato di trovarmi nel ruolo più alto delle nostre istituzioni, a parlare al popolo italiano.
È un sogno, certo, ma permettetemi di condividere con voi, miei concittadini, le riflessioni di un italiano che, per un giorno, ha immaginato di poter essere la voce della Repubblica.


Cari concittadini,
nel rivolgermi a voi questa sera, sento il dovere di condividere una riflessione sincera sullo stato della nostra Repubblica. Il 2024 è stato un anno di sfide complesse, ma ancora una volta il popolo italiano ha dimostrato quella straordinaria capacità di resistere e rinnovarsi che ci ha sempre contraddistinto nella storia.

La situazione economica e sociale del nostro Paese richiede uno sguardo obiettivo e coraggioso. Il tasso di crescita dell’1.2% non basta a colmare le disuguaglianze che si sono create. Il divario tra Nord e Sud si allarga, e troppi nostri giovani sono costretti a cercare fortuna all’estero. La disoccupazione giovanile, al 23.7%, rappresenta un problema che non possiamo più ignorare.

Per affrontare questa emergenza, dobbiamo agire su più fronti: riformare il sistema pensionistico per favorire il ricambio generazionale, ripensare il PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) che troppo spesso si è trasformato in sfruttamento mascherato, e creare un vero ponte tra formazione e mondo del lavoro. L’anticipo pensionistico, se ben calibrato con quota 41, potrebbe liberare fino a 150.000 posti di lavoro per i giovani.

La sicurezza sul lavoro resta una priorità non negoziabile. Nel 2023 abbiamo registrato 1.041 morti bianche, un numero inaccettabile per un Paese civile. Gli incidenti più gravi colpiscono soprattutto i settori dell’edilizia e dell’agricoltura, dove spesso le norme di sicurezza vengono considerate un ostacolo alla produttività.
Le recenti normative hanno inasprito le sanzioni, ma serve un cambio di mentalità: dobbiamo passare dalla cultura della punizione a quella della prevenzione. Potrebbe essere finanziato un fondo nazionale per la sicurezza che premi le aziende virtuose e supporti la formazione continua dei lavoratori. La sicurezza non è un costo ma un investimento nel futuro delle nostre comunità.

Il sistema di sicurezza sociale necessita di un ripensamento profondo. L’invecchiamento della popolazione – con un rapporto tra pensionati e lavoratori che nel 2024 ha raggiunto 1 a 1.4 – mette a rischio la sostenibilità del nostro sistema sociale. Il reddito di inclusione sociale ha aiutato molte famiglie, ma deve essere meglio coordinato con politiche attive del lavoro.
La soluzione passa attraverso un “Patto per il Sistema Sociale” che coinvolga Stato, Regioni e parti sociali. Dobbiamo riorganizzare l’assistenza ai cittadini partendo dai territori, dove negli ultimi anni sono stati chiusi troppi servizi essenziali: dagli uffici postali agli sportelli comunali, dai presidi sanitari alle sedi dei servizi sociali. È necessario riportare questi servizi nei quartieri, vicino alle persone che ne hanno bisogno. In questo ambito, la solidarietà tra cittadini e la sussidiarietà tra istituzioni sono le fondamenta su cui costruire un sistema sociale più equo e sostenibile.

La piaga del femminicidio rappresenta una vergogna nazionale che dobbiamo affrontare con estrema determinazione. Nel 2023 sono state 118 le donne uccise, di cui 96 in ambito familiare o affettivo. Non si tratta di una questione privata ma di un problema strutturale della nostra società, che richiede un intervento deciso dello Stato.
La nuova legge sul Codice Rosso ha rafforzato gli strumenti di protezione, ma dobbiamo fare di più. Propongo un piano nazionale che preveda l’istituzione di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti, la formazione obbligatoria per tutte le forze dell’ordine e il personale sanitario, e l’introduzione dell’educazione affettiva in tutte le scuole, dalle elementari alle superiori. Ma tutto questo serve a poco se non si riscopre il valore autentico dei rapporti umani, troppo spesso sacrificato in nome di una modernità che confonde e distorce ciò che davvero conta nella vita.

L’istruzione rappresenta il fondamento su cui si costruisce il futuro della nostra Repubblica. I recenti dati OCSE-PISA sono allarmanti: i nostri quindicenni si collocano significativamente sotto la media OCSE in matematica, scienze e comprensione del testo. Solo il 59% degli studenti raggiunge il livello minimo di competenza in matematica, contro una media OCSE del 69%. Questi dati non sono solo numeri: rappresentano il fallimento di un sistema che ha smarrito la sua missione fondamentale.

La scuola italiana si è persa in un labirinto di burocrazia e riforme superficiali, dimenticando la sua vocazione primaria: formare cittadini consapevoli e pensanti. Non possiamo continuare a nasconderci dietro progetti e iniziative che sembrano innovativi sulla carta ma che nella realtà sottraggono tempo ed energie all’insegnamento vero. È tempo di tornare all’essenziale: una scuola dove si insegni a leggere criticamente, a scrivere correttamente, a ragionare in modo autonomo. Il ritorno della filosofia e della geografia in tutti gli indirizzi di studio non è un lusso, ma una necessità, come tutte le altre discipline che si sono perse o diluite in un’inutile corsa al più si fa meglio è: non si può essere cittadini consapevoli se non si comprende il proprio posto nel mondo e non si hanno gli strumenti per interpretarlo.

L’innovazione tecnologica è importante e va perseguita, ma come strumento, non come fine. Prima di parlare di competenze digitali, dobbiamo assicurarci che i nostri giovani padroneggino le competenze fondamentali. Lo sportello psicologico, l’educazione all’affettività, il rispetto delle differenze sono certamente importanti, ma diventano vuoti slogan se non si basano su un substrato culturale solido, su una vera educazione al rispetto reciproco e alla comprensione dei diritti e doveri che fondano la convivenza civile.
La prossima riforma della scuola dovrebbe valutare la necessità di tornare a una didattica seria e sostanziale, libera da sovrastrutture inutili e interferenze esterne.

La sanità pubblica attraversa una fase critica che richiede interventi immediati. Le liste d’attesa si sono allungate in modo inaccettabile, con tempi medi di 120 giorni per una visita specialistica. La carenza di personale – mancano 30.000 medici e 50.000 infermieri – sta mettendo a dura prova il sistema, soprattutto nelle aree interne del Paese.
È tempo di una svolta decisa per la sanità pubblica. Dobbiamo utilizzare i 20 miliardi del PNRR non solo per le infrastrutture, ma per una riforma complessiva che preveda l’assunzione straordinaria di personale, il potenziamento della medicina territoriale e l’introduzione di un sistema di telemedicina accessibile a tutti. La salute è un diritto fondamentale che si difende insieme.

La lotta alla mafia resta una priorità assoluta dello Stato. La cattura di importanti latitanti non deve farci abbassare la guardia. La criminalità organizzata si sta infiltrando nell’economia legale attraverso il riciclaggio e gli investimenti in settori apparentemente puliti. Solo nel 2023 sono stati sequestrati beni per 3 miliardi di euro.
Serve una strategia che unisca repressione e prevenzione. Bisogna rafforzare le sezioni specializzate antimafia delle forze dell’ordine, creare una banca dati nazionale degli appalti pubblici accessibile in tempo reale, e investire nell’educazione alla legalità nelle scuole delle aree più a rischio. Ogni cittadino può fare la differenza con piccoli gesti silenziosi nella vita di tutti i giorni.

L’emergenza ambientale è ormai una realtà che non possiamo più ignorare. Nel 2023 abbiamo registrato 378 eventi meteorologici estremi, con danni per oltre 6 miliardi di euro. Il 94% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico, una situazione che richiede interventi strutturali immediati.
Il PNRR ci offre un’occasione unica: dobbiamo investire in opere di prevenzione del dissesto, nella manutenzione del territorio e nella riforestazione urbana. Ma serve anche un “Patto per l’Ambiente” che coinvolga cittadini, imprese e istituzioni nella cura del nostro patrimonio naturale. Il rispetto dell’ambiente parte dai comportamenti di tutti i giorni: la pulizia delle nostre strade, lo smaltimento corretto dei rifiuti, la cura dei nostri spazi verdi. Non servono grandi gesti, ma piccole azioni quotidiane.

L’immigrazione è una sfida che l’Italia non può e non deve affrontare da sola. Nel 2023 sono sbarcate sulle nostre coste oltre 155.000 persone. Il sistema di accoglienza è sotto pressione, e troppo spesso i migranti finiscono per alimentare il mercato del lavoro nero.
La soluzione deve essere europea: serve una revisione del Trattato di Dublino, una gestione condivisa dei flussi migratori e un piano di investimenti nei paesi di origine. Ma dobbiamo anche migliorare il sistema di integrazione, con corsi di lingua obbligatori e percorsi di formazione professionale per chi ha diritto di restare.

Il Made in Italy continua a essere il nostro migliore ambasciatore nel mondo. L’export ha superato i 600 miliardi di euro nel 2023, ma dobbiamo proteggere le nostre eccellenze dalla contraffazione e dalla concorrenza sleale.
Serve un “Piano Strategico per il Made in Italy” che preveda incentivi per l’innovazione, la tutela dei marchi storici, e il sostegno all’internazionalizzazione delle PMI. Ma dobbiamo anche investire nella formazione di nuovi artigiani e nella trasmissione dei saperi tradizionali ai giovani. Il Made in Italy non è solo un marchio, è l’espressione della nostra identità che deve essere tutelato.

Care italiane e cari italiani,
il mio discorso e il mio sogno di essere Presidente stanno per finire. Ho cercato di dire le cose come le vedo io, o forse anche come le vediamo noi cittadini comuni nelle nostre discussioni quotidiane.

Ho parlato di problemi che conosciamo bene e di soluzioni che forse sembrano ovvie, ma che per qualche motivo si fa fatica a realizzare. Non ho soluzione pronte all’uso, ma una cosa mi è chiara: il cambiamento non arriverà dall’alto, da un palazzo o da una poltrona e non sarà una legge a migliorarci. Arriverà da noi, dalle nostre scelte di ogni giorno, dalla nostra voglia di non arrenderci.

Tra pochi istanti tornerò ad essere la persona di sempre, con le stesse preoccupazioni e le stesse speranze, cercando di essere un cittadino migliore. Come diceva San Francesco, patrono d’Italia: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.” Forse è proprio questo il segreto: iniziare dalle piccole cose, dai gesti quotidiani, dalla responsabilità personale.

Vi auguro un 2025 di concretezza e di coraggio.

Viva l’Italia!





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