Francesco Petrarca, sonetti in vita e in morte di Laura
Nel Sonetto 134, Pace non trovo, Petrarca costruisce una riflessione per antitesi. Che cosa significa? Che il testo è articolato, quasi in ogni verso, sulla contrapposizione di sentimenti (come il non poter trovare pace e non aver motivo di fare guerra, temendo e allo stesso tempo sperando; bruciando e sentendosi freddo come un ghiaccio. Il sonetto è inoltre strutturato attorno a diversi polisindeti (ovvero a congiunzioni che rimarcano il ritmo dell’esposizione, un po’ per aumentare il numero delle antitesi, un po’ per dimostrare quale sia la potenza dell’amore, che non scioglie Petrarca dai suoi legami, non lo vuole vivo, non lo salva: tra le congiunzioni più usate dal poeta in questo testo, si vedano soprattutto “et”…”et” e “né”…”né” in tutte le quartine e le terzine del sonetto).
La passione d’amore costringe Petrarca a stare male, per il troppo stare bene. Vede senza occhi, è in una prigione senza uscita; gli manca la voce e grida, vuole morire ma allo stesso tempo chiede aiuto per non morire; odia se stesso e ama il prossimo.
Nell’ultima terzina si vede come egli si nutra di dolore, e rida piangendo (ossimoro: accostamento di due parole di significato opposto: “piangendo rido”). Detesta allo stesso modo vita e morte. Si è ridotto così (nel verso finale la risposta a questi sentimenti così opposti) a causa dell’amore per Laura, che lo rende incerto, incapace di sottostare ad un sentimento unico.
Questo sonetto è un’opera che, nonostante il dolore, celebra la vita, con le sua passioni sovente opposte e concomitanti, provate nello stesso momento (il sonetto è a p. 336).
Gli altri due sonetti celebrano invece la morte di Laura. Il sonetto n. 272, La vita fugge, è probabilmente opera scritta subito dopo la morte di Laura De Novis, avvenuta per la peste bubbonica del 1348. E’ un’opera non così distante dal pensiero del poeta latino Orazio, secondo il quale il tempo scorre, non si blocca e porta via con sé ogni tipo di illusione umana. Ogni cosa è destinata a morire, per cui, in questa seconda sezione del Canzoniere, si nota come avvenga un progressivo distacco dalle cose di questo mondo, un avvicinarsi al pensiero di Agostino, ai valori del cielo, ai valori che non passano.
Nel sonetto, nuovamente ricco di legami sintattici per polisindeto (e, et), si nota un accumulo di pensieri negativi. La vita scorre, non si arresta mai, la morte ci insegue a passo veloce. Il poeta sta male per le cose presenti e anche per quelle future, che avverranno. Da un lato, sta male nel ricordare le cose del passato, ma dall’altro soffre ad attendere le cose future. Il poeta sta così male che, se non temesse la pena infernale per chi si è suicidato (come Pier delle Vigne nella Commedia di Dante), si sarebbe già tolto la vita.
E prosegue: ricordo e mi chiedo se il mio cuore triste abbia mai provato qualche dolcezza; e poi, se penso al futuro, vedo che il mio viaggio terreno è sballottato da forti venti (da grandi inquietudini). Vedo una tempesta che mi aspetta nel porto e la mia ragione, il mio timoniere, ormai stanco; gli alberi, i cordami della mia nave sono tutti spezzati, così come sono spenti, morti, i begli occhi che ero solito ammirare (ovvero quelli di Laura). Il sonetto è a p. 341.
Nell’ultimo sonetto che studieremo, Zephiro torna, Petrarca scrive di quanto lo disturbi, lo faccia sentire fuori posto, l’arrivo della primavera astronomica. Forse scritto nel 1352, questo sonetto ci fa provare quanto, nel momento in cui la natura si risveglia, l’umore del poeta sia distante dalla festa, pieno di dolore e tristezza per la morte di Laura. La prima quartina ricorda Virgilio, la sua opera Georgiche (le poesie dei campi): Progne e Philomena sono la rondine e l’usignolo, chiamati con i loro nomi mitologici. Tutto intorno al poeta è bianco e rosso, ovvero tutto è rifiorito. I prati sono verdeggianti, il cielo è sereno, Giove guarda sua figlia Venere, la dea dell’amore, che con la primavera si sparge dappertutto. Aria, acqua, terra sono colme di amore, ogni essere animato ritorna a provare amore.
Solo il poeta non festeggia la primavera perché, stanco, sospira per la morte di Laura: egli non può che accorgersi che chi aveva le chiavi del suo cuore è ora in cielo.
Per questo, il canto degli uccelli, i prati fioriti e le donne che cantano graziose sono per Petrarca un deserto, bestie selvagge: ogni essere vivente che rifiorisce è distante dal sentire del poeta, che si macera nel dolore, fuori dal tempo della natura e delle cose umane. (il sonetto è a p. 347)