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Francesco Petrarca e qualche sonetto dal “Canzoniere”: sonetto I

Sonetto I

Francesco Petrarca (1304-1374) fu un autore che trovò all’interno del suo Canzoniere (definito anche Rerum vulgarium fragmenta) una sorta di traccia romanzesca da seguire. Il suo amore per Laura de Novis (non si sa quanto reale e quanto inventato) viene descritto in una narrazione romanzesca, un po’ sullo stile de La vita nova di Dante o dei poemi provenzali, in cui il vero protagonista non è né la donna né l’amore ma – novità assoluta per l’epoca – l’io profondo del poeta. Per questo motivo, non sempre ci si deve fidare della struttura narrativa del Canzoniere e di quanto ci racconta Petrarca: ciò che sembra scritto per primo, all’inizio o prima di qualcosa d’altro, sovente è un sonetto che è stato rielaborato o scritto dal nulla molti anni dopo l’avvio della raccolta e inserito dall’autore proprio lì, proprio in quel punto, molti anni più tardi.

Amante dei classici latini e greci, Petrarca imita in questo sonetto iniziale i proemi, i prologhi degli autori antichi (come Orazio, Properzio o Ovidio), attirando l’attenzione dei lettori e volendo raccogliere la loro benevolenza.

Sintesi del contenuto del sonetto I:

Voi che ascoltate, in queste mie singole rime sparse e disordinate, il suono dei miei antichi sospiri amorosi di cui io nutrivo il mio cuore, al tempo della mia prima giovinezza, quando mi sviai a causa dell’innamoramento per Laura, quando ero tutt’altra persona da quella che sono divenuta ora

[qui bisogna partire dal fondo della quartina per trovare il soggetto e il verbo della frase principale] qualora ci sia qualcuno di voi che capisca per caso che cosa voglia dire amare (tanto il bene quanto il male che esso comporta), spero di trovare in voi  pietà, oltre che perdono, per la varietà stilistica con cui ho parlato del mio pianto e della mia riflessione sull’amore, fra speranze e dolori sovente inutili, vani.

Capisco bene, adesso, come la gente mi rise dietro per molto tempo, cosa per la quale (guardate che allitterazione, al verso 11!) mi vergogno di me stesso dentro di me.

E frutto del mio perder tempo è la vergogna, il pentirsi, e il riconoscere di fronte a tutti che quanto piace al mondo non è altro che un breve sogno destinato a finire in fretta.

Non c’è che dire: non male come esordio, soprattutto se pensiamo che esso viene idealmente ambientato nel giorno di Venerdì Santo, a ricordare quanto dolore ha prodotto in lui l’amore verso la donna Laura…

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